Sinner si mostra al mondo. E a 20 anni diventa uomo

I record di precocità annunciano al circuito l’arrivo di un fenomeno. Dopo Torino e l’Australia sorprende tutti, ma la decisione è meditata
Sinner si mostra al mondo. E a 20 anni diventa uomo© Getty Images for ITF

Occorre tornare indietro di anni per trovare un altro esordiente in grado di raggiungere i quarti al primo impegno nel Campionato Mondiale su terra rossa. Era il 2005 e in quel Roland Garros fu il bimbo selvaggio a festeggiare i 19 anni. Lo chiamavano Mowgly, il figlio della giungla. E un po’ lo era davvero, o forse gli faceva il verso, chissà…. Indossava canottiere che non si erano mai viste su un campo da tennis, e mostrava una vitalità che si esprimeva nei grandi balzi di gioia a ogni punto. Rubava lo sguardo. Rafa Nadal era un Tarzan bambino. 
 
Il miracolo si è ripetuto quindici anni dopo, ed è tutto made in Italy. Jannik Sinner è l’esatto opposto del pibe de Manacor, ma ha raggiunto i quarti al suo primo Roland Garros e alla stessa età, 19 anni. Altro genere di persona, il semoloso, rispetto a Rafa. Eppure prensile, trasformista, agile nei pensieri e pronto a cambiare direzione quand’è il caso. Ha la fame di chi sa che può arrivare molto in alto, ma non la fretta che può fare brutti scherzi. Non mostra tentennamenti, Sinner, e i dubbi, quando ci sono, se li fa passare attenendosi ai responsi che vengono dal mettere in pratica le sue intenzioni. «È vero, non festeggio, non mi esalto. Mi contengo», spiegò una volta Semola, un po’ nicchiando, «difficilmente mi vedrete euforico. Ma dentro sono un fuoco. Non mi piace metterlo in mostra, tutto qua». 

Sinner e i precedenti dei grandi

Sinner forse non lo sa. I fenomeni si manifestano fra i 18 e i 19 anni. Passano senza particolari trambusti dall’apprendimento a una forma più esplicita, nella quale si assimila conquistando, afferrando, annettendo. E al contempo si cambia dentro, diventando famelici, sempre più esigenti e alla fine insaziabili. È il passaggio dall’adolescenza tennistica alla fase adulta, la fine di una pubertà santificata dalle pallate spedite sempre più vicine alle righe del campo. Inutile chiedersi se sia una regola. Nessuno può dirlo. Rafa vinse il primo torneo Atp a Sopot, Polonia, quando aveva 18 anni, due mesi e 12 giorni. Djokovic divenne adulto ad Amersfoort, in Olanda: 19 anni, due mesi, 1 giorno. Zverev si rivelò a San Pietroburgo, nel 2016, aveva 19 anni, 5 mesi e 5 giorni. Quando Roger Federer vinse il torneo di Milano sul francese Boutter, nel 2001, aveva 19 anni, 7 mesi e 26 giorni. Andrey Rublev, tra un infortunio e l’altro, sbaragliò Umag a 19 anni, 9 mesi e 3 giorni. Alcaraz fece centro a Umag, era il 2021, a 18 anni, 2 mesi e 20 giorni. Rune si rivelò a Monaco, a 19 anni e due giorni. L’indicatore comune viene dalla percentuale di predestinazione affiancata ai loro nomi. 

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Sinner, il prescelto

Identico ruolo da prescelto non è stato difficile concedere a Sinner, vittorioso a Sofia per la prima volta nel Tour a 19 anni 2 mesi e 30 giorni. Meno solerte di Rafa e Nole, e anche di Alcaraz e Rune, se proprio ci tenete, ma più rapido degli altri. E quel che conta, in linea con i fenomeni. Accadde il 14 novembre 2020, poco dopo Parigi, che in quell’anno di pandemia fu sbalzato di alcuni mesi e prese il via solo a fine settembre.  Il 2021, con il secondo successo in un torneo, a Melbourne (7-6 6-4 in finale nel derby con Stefano Travaglia), e una pesante caduta in primo turno agli Open d’Australia, fronte a Shapovalov, spedì Sinner a diretto contatto con i tornei che contano di più, quelli che oggi diamo per scontato siano tutti alla sua portata, a marzo, con l’avvento della stagione dei Masters 1000. Battuti Gaston, Khachanov, Ruusuvuori, Bublik e Bautista Agut, il 1000 di Miami gli spalancò le porte della finale, opposto all’amico Hubert Hurkacz, suo compagno di doppio e di allenamenti monegaschi. Sembrava il favorito, Semola, non era così. Se qualcuno lo fosse stato a sentire, avrebbe percepito la fragilità del suo stato d’animo in quel momento. Ma un diciannovenne che sta esplorando, insieme, se stesso e il tennis, deve poter considerare i primi inciampi della carriera come inevitabili scivoloni.  

La cura di Sinner

Non perdo, imparo. Il motto di Nelson Mandela, che Berrettini ha introdotto nel circuito - pietra filosofale di un impegno nel tennis che muova da uno stimolo sempre positivo - vale anche per Jannik Sinner. «Non vedo l’ora di riunirmi con il mio team, e capire che cosa ho sbagliato in finale. Qualcosa non ha girato a dovere e la devo mettere a fuoco quanto prima. Perché mi pesa. E non sono felice». Quanto la felicità di un tennista collimi con le proprie vittorie è argomento tornato d’attualità nell'ultima stagione, la migliore di Sinner, quando tra molte prestazioni a tutto tondo si aprì il baratro di una eliminazione pesante, al secondo turno di Parigi, contro il tedesco Daniel Altmaier, che annunciava difficoltà crescenti - a fronte di risultati prestigiosi su cemento ed erba - sulla terra rossa. Ma è presto per parlarne. Nel frattempo la cura giunse dal successo di Washington (primo sul cemento) e dalla partecipazione come riserva alle Finals di Torino, pronto a prendere il posto di Berrettini, infortunato, e rifarsi su Hurkacz, battuto con un doppio 6-2, prima di inoltrarsi in una sfida tutta nervi con Medvedev che il russo inaugurò con un 6-0 e rischiò di perdere al terzo su due match point nel tie break a favore di Sinner, il primo sul 6-5, l’altro sull’8-7, senza che il nostro avesse la possibilità di giocarli sul proprio servizio. 

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Sinner e la Top10

La presenza al Master, sia pure da riserva, spalancava a Sinner le porte della Top 10, raggiunta la prima volta il primo novembre, al numero 9. L’esordio vincente in Davis nei giorni successivi, mostrando il pugnetto chiudeva di fatto la lunga stagione di Semola al fianco di Piatti. Sei anni. Nessuno l’aveva intuito, ma in cuor suo Sinner aveva già deciso tutto. Il distacco prese forma agli Australian Open 2022, annunciato da qualche trascurabile bagarre fra Sinner e il team. Il segnale più forte giunse durante il confronto in terzo turno con Taro Daniel, in un primo set combattuto. Dalla panca, Sinner intrecciò un dialogo serrato con il suo box, forse con Piatti stesso. Dal labiale non fu difficile ricostruirlo. «Io ci sto con la testa, ma tu stai calmo, cazzo. Così non ce la faccio più». Lo scambio si ripeté nel terzo set. «State calmi, state calmi», urlava Sinner. Il match finì a suo favore in quattro partite, la successiva vittoria con De Minaur non bastò a rinfrancare l’animo di Semola che giunse alla sfida dei quarti con Tsitsipas in tono dimesso, e pronto a uscire dal torneo. Così fu.  Nei giorni successivi fu Semola ad annunciare che l’addio a Piatti era definitivo, e insieme, che al suo fianco ci sarebbe stato da quel momento Simone Vagnozzi.  La carriera di Sinner affrontava così la svolta più complessa. Annunciato mentre già lo stava avviando, e condotto senza ripensamenti e senza voltarsi indietro, il nuovo corso aveva il compito dichiarato di fornire gli strumenti per arricchire e completare il bagaglio tennistico. Ma s’intuiva, sotto, la gran voglia del ragazzo di assumere la guida di se stesso, le responsabilità e le scelte operative riguardanti la sua carriera. Ciò che cercava Sinner qualcosa di simile a un passaggio tra l’adolescenza e la fase adulta. Da quel febbraio 2022, la carriera era nelle sue mani. E a venti anni, date retta, ci vuole coraggio. 

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Occorre tornare indietro di anni per trovare un altro esordiente in grado di raggiungere i quarti al primo impegno nel Campionato Mondiale su terra rossa. Era il 2005 e in quel Roland Garros fu il bimbo selvaggio a festeggiare i 19 anni. Lo chiamavano Mowgly, il figlio della giungla. E un po’ lo era davvero, o forse gli faceva il verso, chissà…. Indossava canottiere che non si erano mai viste su un campo da tennis, e mostrava una vitalità che si esprimeva nei grandi balzi di gioia a ogni punto. Rubava lo sguardo. Rafa Nadal era un Tarzan bambino. 
 
Il miracolo si è ripetuto quindici anni dopo, ed è tutto made in Italy. Jannik Sinner è l’esatto opposto del pibe de Manacor, ma ha raggiunto i quarti al suo primo Roland Garros e alla stessa età, 19 anni. Altro genere di persona, il semoloso, rispetto a Rafa. Eppure prensile, trasformista, agile nei pensieri e pronto a cambiare direzione quand’è il caso. Ha la fame di chi sa che può arrivare molto in alto, ma non la fretta che può fare brutti scherzi. Non mostra tentennamenti, Sinner, e i dubbi, quando ci sono, se li fa passare attenendosi ai responsi che vengono dal mettere in pratica le sue intenzioni. «È vero, non festeggio, non mi esalto. Mi contengo», spiegò una volta Semola, un po’ nicchiando, «difficilmente mi vedrete euforico. Ma dentro sono un fuoco. Non mi piace metterlo in mostra, tutto qua». 

Sinner e i precedenti dei grandi

Sinner forse non lo sa. I fenomeni si manifestano fra i 18 e i 19 anni. Passano senza particolari trambusti dall’apprendimento a una forma più esplicita, nella quale si assimila conquistando, afferrando, annettendo. E al contempo si cambia dentro, diventando famelici, sempre più esigenti e alla fine insaziabili. È il passaggio dall’adolescenza tennistica alla fase adulta, la fine di una pubertà santificata dalle pallate spedite sempre più vicine alle righe del campo. Inutile chiedersi se sia una regola. Nessuno può dirlo. Rafa vinse il primo torneo Atp a Sopot, Polonia, quando aveva 18 anni, due mesi e 12 giorni. Djokovic divenne adulto ad Amersfoort, in Olanda: 19 anni, due mesi, 1 giorno. Zverev si rivelò a San Pietroburgo, nel 2016, aveva 19 anni, 5 mesi e 5 giorni. Quando Roger Federer vinse il torneo di Milano sul francese Boutter, nel 2001, aveva 19 anni, 7 mesi e 26 giorni. Andrey Rublev, tra un infortunio e l’altro, sbaragliò Umag a 19 anni, 9 mesi e 3 giorni. Alcaraz fece centro a Umag, era il 2021, a 18 anni, 2 mesi e 20 giorni. Rune si rivelò a Monaco, a 19 anni e due giorni. L’indicatore comune viene dalla percentuale di predestinazione affiancata ai loro nomi. 

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