Ljubicic: “A Sinner non manca nulla. La mia storia può dare speranza”

Dal 16 dicembre il documentario su Sky: l’ex campione parla di sé e di Jannik
Ljubicic: “A Sinner non manca nulla. La mia storia può dare speranza”

Ljubo, l’uomo salvato dal tennis, nel tennis è stato tutto. Ivan Ljubicic n. 3 del mondo, allenatore e amico di Federer, fondatore e direttore della Ljubicic Academy nell’isola di Lussino (Croazia) con 20-25 promesse, consulente della federazione francese, commentatore per Sky Sport tv. La sua storia sarà raccontata dal documentario “Ljubo, l’uomo salvato dal tennis” prodotto da Sky Sport, a partire dal 16 dicembre.  
 
Ljubicic, lei è tornato per la prima volta a Banja Luka dai tempi in cui lasciò la sua terra nella tragedia dalla guerra. 
«Davvero non sapevo cosa avrei provato. Da quando sono uscito dal mio Paese ho cercato di non pensarci. Ma l’ho sognato tantissimo. Di notte sognavo e di giorno non ci pensavo perché non ne avevo voglia, né tempo. Sono tornato per la prima volta e non ho provato emozioni di felicità, né di tristezza. Non riesco a descriverlo, come un tuffo in ciò che non è stato. Banja Luka è cambiata tanto, è più grande, molto attiva, sono partito che avevo 13 anni e sono tornato a 44 e non ho avuto la sensazione di tornare a casa». 
 
Importante raccontarlo, ancor più in questi tempi. 
«Sì, ma per me la guerra ci sarà sempre. Ho pensato invece che la mia esperienza possa dare una speranza. Per me è stata solo la mia vita, ma qualcuno potrebbe trovare la mia stessa speranza nel futuro, in ciò che sogna di fare. Alle Nitto ATP Finals ho partecipato all’incontro di Itennis Foundation che ora aiuta le giovani atleti ucraine e ho detto alle ragazze e alle mamme che si può fare. La mia vita dimostra che dalla cosa più brutta può nascere la speranza e la si può coronare con il lavoro e l’aiuto degli altri». 

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Lei alle Finals ha seguito e intervistato Sinner. Poi c’è stato il trionfo in Davis. Adesso Jannik è pronto per vincere uno Slam? 
«Io ho creduto nelle sue possibilità subito. Jannik non è come Alcaraz, passato da 40 a 1, ha bisogno dei suoi passi. Penso che quanto ha fatto negli ultimi due mesi, la conferma del lavoro incessante, lo abbiano avvicinato all’obiettivo. Aveva bisogno di certe esperienze per sentirsi a suo agio nel percorso. A fine 2022 avevo detto di essere dispiaciuto che Jannik non avesse giocato partite importanti contro i big. Ora non ha più niente da imparare. Ha cominciato col vincere il primo 1000, poi ha battuto tutti i primi, è arrivato in finale a Torino e l’ha persa anche perché era molto stanco dopo una semifinale durissima con Medvedev, ma uscito dal campo aveva già la mente alla squadra e alla Davis». 
 
Sinner ha conquistato gli italiani e li ha portati al tennis. 
«Non sono sorpreso, Jannik ha anche un atteggiamento perfetto in campo e fuori, nelle interviste non ha timore a parlare dei suoi limiti e di altro. E voi siete un popolo tifoso, emotivo, che ha bisogno di qualcuno che faccia vivere i sogni». 
 
Torniamo alle possibilità di vincere uno Slam nel 2024. 
«Il n. 4 del mondo ne ha di sicuro. Io magari credo possa vincere prima le Finals. Però aver conquistato la Davis gli permette di entrare in campo in Australia con una speranza concreta. E ha battuto tutti i top ten. Piuttosto, lo vedremo alla gestione degli Slam: quando hai un giorno libero se avverti la pressione, se pensi tanto e lui è molto riflessivo, puoi avere qualche problema in più. Ecco, gli manca una finale già giocata. Però è circondato da uno staff di persone molto capaci che possono prepararlo. Sento parlare di mentalità, la sua forza è il carattere. Non va mai fuori di testa e non si accontenta. Io quando arrivai al n. 3 pensai di aver raggiunto il top e cominciai la mia parabola discendente. Ognuno ha le proprie aspettative, lui ne ha giustamente di importanti». 

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La generazione zeta dominerà? 
«Alcaraz e Rune sono emersi. Secondo me il francese Fils il prossimo anno può cominciare a dare fastidio a tanti. Shelton è il classico giocatore che può battere tutti, ma non vedo ancora in lui la continuità necessaria. Sinner e questi vinceranno, ma altri arriveranno». 
 
Dietro Sinner sta crescendo tutto un movimento in Italia. 
«È già cresciuto, con le scelte giuste. L’Italia vive un momento importante e per 10-15 anni ci saranno problemi di abbondanza, per esempio in Davis. Aggiungo che i vari Nardi e Cobolli, hanno un vantaggio: possono crescere senza le attenzioni esagerate su di loro. E più in generale i risultati di quelli davanti generano più fiducia, più speranza. I ragazzi vedono che si può fare». 
 
Torniamo a Djokovic, battuto due volte da Sinner. 
«Djokovic è unico, è sempre stato attentissimo al suo fisico, all’alimentazione e si vede nei risultati». 
 
Ma come si accorge un campione del momento in cui smettere? 
«Non c’è mai un crollo, si cala poco alla volta, magari ti serve più tempo per recuperare. Tutto dipende da come accetti il calo. Murray accetta di essere 40 al mondo. Federer non l’avrebbe mai accettato» 
 
Federer ha partecipato al documentario. 
«Sì e ha parlato anche tanto, siamo veri amici. Ecco, il documentario non l’ho ancora visto, ma sarò curioso di vedere anche tutte le interviste integrali, le parti rimaste fuori». 

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Ljubo, l’uomo salvato dal tennis, nel tennis è stato tutto. Ivan Ljubicic n. 3 del mondo, allenatore e amico di Federer, fondatore e direttore della Ljubicic Academy nell’isola di Lussino (Croazia) con 20-25 promesse, consulente della federazione francese, commentatore per Sky Sport tv. La sua storia sarà raccontata dal documentario “Ljubo, l’uomo salvato dal tennis” prodotto da Sky Sport, a partire dal 16 dicembre.  
 
Ljubicic, lei è tornato per la prima volta a Banja Luka dai tempi in cui lasciò la sua terra nella tragedia dalla guerra. 
«Davvero non sapevo cosa avrei provato. Da quando sono uscito dal mio Paese ho cercato di non pensarci. Ma l’ho sognato tantissimo. Di notte sognavo e di giorno non ci pensavo perché non ne avevo voglia, né tempo. Sono tornato per la prima volta e non ho provato emozioni di felicità, né di tristezza. Non riesco a descriverlo, come un tuffo in ciò che non è stato. Banja Luka è cambiata tanto, è più grande, molto attiva, sono partito che avevo 13 anni e sono tornato a 44 e non ho avuto la sensazione di tornare a casa». 
 
Importante raccontarlo, ancor più in questi tempi. 
«Sì, ma per me la guerra ci sarà sempre. Ho pensato invece che la mia esperienza possa dare una speranza. Per me è stata solo la mia vita, ma qualcuno potrebbe trovare la mia stessa speranza nel futuro, in ciò che sogna di fare. Alle Nitto ATP Finals ho partecipato all’incontro di Itennis Foundation che ora aiuta le giovani atleti ucraine e ho detto alle ragazze e alle mamme che si può fare. La mia vita dimostra che dalla cosa più brutta può nascere la speranza e la si può coronare con il lavoro e l’aiuto degli altri». 

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