Paolini, questione di scuola: la strada del coach Furlan

Il tennis italiano in questo 2024 non passa settimana che non vinca e non arrivi in finale e i motivi sono stati più volti elencati
Paolini, questione di scuola: la strada del coach Furlan© EPA

A conti fatti, e senza procedere a paragoni che potrebbero risultare fuorvianti, Jasmine Paolini ha fatto meglio di Jannik Sinner. Se davvero una porta occorre sfondare per fare il proprio ingresso nel tennis che conta, Jas ha fatto la stessa scelta di Jan. E si è iscritta al ruolo di protagonista della stagione appropriandosi della vittoria più alta che vi sia, esclusi i tornei del Grande Slam. Ed è un “1000” che molto somigliava a uno Slam, a differenza di quello a Toronto che Sinner scelse per prendere lo slancio. A Dubai erano iscritte Swiatek e Sabalenka, Gauff e Rybakina, le prime quattro del mondo. Non solo… Erano in campo sette tra le prime dieci e undici delle prime quindici.

Il percorso a Dubai

Un mezzo Slam, forse anche un “tre quarti”, in una categoria onoratissima di nove supertornei che nel 2023 si è offerta a sette vincitrici, tutte salite sul podio della classifica. Ma che a Dubai ha inteso rinnovare i quadri e avvertire che lassù c’è posto per tutte. Così, la strada per la finale, tra imprese inusitate e ribaltoni infiniti, l’hanno imboccata due ragazze ormai nella loro maturità di atlete, che si sono divise quasi equamente lo sgobbo di cacciare le più forti dal torneo. Compito che ha visto Anna Kalinskaya particolarmente a proprio agio. Spuntata dalle qualifiche, la venticinquenne di Mosca ha superato Ostapenko negli ottavi, Gauff nei quarti e la numero uno Swiatek in semifinale. Jasmine ha avuto un avvio forse più duro, subito opposta alla numero 11, la brasiliana Haddad Maia. Match di grande e legittima sofferenza, con Beatriz avanti nel punteggio nel primo e nel secondo set.
Ma Jasmine ha ormai affinato l’arte di procedere un passo alla volta, di cercare le spinte giuste per avanzare sempre poggiando bene i piedi per terra, senza mai perdere l’equilibrio, del corpo e del proprio animo. È una ragazza normale, Jasmine Paolini, ventottenne di Bagni di Lucca - madre del Ghana ma di origini polacche, papà della Garfagnana, terra aspra se ce n’è una - non alta, non troppo muscolosa, mai sconsiderata nelle scelte che fa. Molto ricorda il suo coach, Renzo Furlan che fu numero 19 nel 1996, anno di nascita di Jasmine, giocatore fra i più assennati che abbia mai osservato su un campo da tennis. Lavorano insieme dal 2015, sotto il comune slogan “Avanti piano, fino alla meta”… Per poi, magari, scrivere sul vetro della telecamera in campo un “Incredible JP” che la dice lunga sull’entusiasmo generato da una vittoria che Jasmine ha fatto propria quasi ghermendola, e ribaltando in un attimo un verdetto che sembrava già scritto.
Già, incredibile JP, davvero incredibile. Aveva superato allo stesso modo Haddid Maia, rimontando il secondo set per poi lasciarla a zero nel terzo, e dopo Leyla Fernandez e Maria Sakkari, la numero otto, prima di avere il via libera dalla Rybakina, ritiratasi, e di regolare la rumena Cirstea in una semifinale ruvida, combattuta fino all’ultimo punto del tie break.

La finale

Ma il meglio doveva venire, e Jasmine stavolta ha fatto le cose in grande, coagulando negli ultimi quattro game della finale tutte le emozioni di un match giocato sulle rincorse, con l’intenzione di non mollare un solo punto. Vinto il primo, Kalinskaia è andata avanti due a zero nel secondo, ma alla prima occasione Paolini l’ha agganciata per staccarla sul cinque pari e pareggiare il match. Ma anche nel terzo la russa sembrava avere la situazione sotto controllo, e così è stato fino al 5-3. Qui Jasmine ha fatto sentire alla russa tutta la tranquilla consistenza dei propri colpi, un buonissimo game al servizio ha fatto brillare nei pensieri di Anna la carica esplosiva dei più foschi presagi. «E se mi riprende?». Si conoscono bene le due, avversarie a Portoroz nel 2021, in occasione della prima, e fino a Dubai unica vittoria di Jasmine, e di nuovo agli Australian Open del mese scorso, quando è stata Kalinskaya a vietare a Paolini l’approdo alla seconda settimana del torneo.

Ma poco importa il passato, quando l’attualità assume i toni di una resa dei conti. Sul 5-4 la russa è andata a servire, osservando di sottecchi la carica nervosa che tracimava da Jasmine, e lì è andata nel panico. Ha ottenuto il primo punto, poi non ne ha azzeccato più uno. Cinque pari e subito 6-5 per l’italiana, sul servizio d’improvviso divenuto ficcante, quasi baldanzoso (non male per una ragazza di un metro e sessanta). Sorpasso effettuato. Alla russa l’ultima possibilità di agganciare un match che era stato a lungo nelle sue mani. Ma della povera Anna restavano giusto le vestigia, in campo c’era solo Jasmine. Nuovo break e primo mille per una tennista italiana. Le varrà una promozione al numero 14 della classifica. Finalmente lassù…
Bello il sorriso largo, incredulo ma sereno di Jasmine. Bello rivedere Furlan a braccia sollevate, come quando nel 1994 ribaltava Chang sul cemento di San Josè e subito dopo superava Alami a Casablanca. Bello anche pensare che nell’anno di Sinner, una ragazza italiana abbia trovato la strada per firmare un’impresa. In fondo, ci mancava da quasi dieci anni, quando nel 2015 a New York due italiane giocarono la finale degli US Open.

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