Il lungo viaggio di Alberto Simonelli: «Lo sport è diventato la mia vita»

Il campione paralimpico di tiro con l'arco racconta il suo percorso iniziando dalla prima conquista, la più grande: «Vinco ogni giorno quando inizio ad allenarmi»
Il lungo viaggio di Alberto Simonelli: «Lo sport è diventato la mia vita»

Un percorso incredibile che lo ha consacrato un punto di riferimento nella Nazionale paralimpica di tiro con l'arco. L'ultima impresa è avvenuta ai Mondiali di Tiro con l'Arco di Città del Messico dove ha gareggiato con atleti normodotati e ha vinto un argento. Lui, Alberto ‘Rolly’ Simonelli, vive per lo sport, che considera la sua migliore medicina. «Ho sempre fame di medaglie. Nel 1993, quando ho avuto l’incidente che mi ha messo in carrozzina, andavo solo in mountain bike. Poi lo sport è diventato la mia vita: vinco ogni giorno quando inizio ad allenarmi. La voglia di gareggiare e vincere, ma anche i sacrifici necessari per riuscirci, sono la mia medicina, la mia salute, il mio motivo di vita». 

 

Dove l' hanno portata nell'ultimo anno i suoi sacrifici e la sua voglia?

«Ho partecipato ai paramondiali a Pechino, dove abbiamo vinto l’oro a squadre. Ma l’ultima medaglia, ai mondiali di Città del Messico, l’ho vinta gareggiando con atleti normodotati. Loro in piedi, io seduto, l’importante è centrare il paglione, che è poi il bersaglio verso cui ogni arciere scaglia le proprie frecce. Questa è la barriera che ho abbattuto tante volte: nello sport siamo tutti uguali e io sono orgoglioso di averlo dimostrato tante volte».

 

Nel 2016 Rolly ha vinto l’argento individuale alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, bissando il secondo posto ottenuto alle Paralimpiadi di Pechino 2008. Grande emozione e foto in prima pagina sui giornali. Solo che la vita di un atleta non inizia e non finisce sul campo di gara. A Pechino, come in Messico, negli Stati Uniti o in Repubblica Ceca bisogna arrivarci. E quando si è lì, bisogna anche muoversi, prendere un autobus, arrivare all’hotel, andare a pranzo o in bagno. Cosa si impara, girando il mondo in carrozzina, Rolly?

«Medaglie e barriere vanno insieme. Girando il mondo ti trovi praticamente sempre ad affrontare barriere, se non le trovi negli aeroporti, le trovi negli hotel, nei bus dei trasferimenti o sui campi da gara. Il nostro non è un mondo ideale in cui muoversi liberamente. Per quello che ho visto io, non siamo ancora arrivati nemmeno al 50% della soluzione del problema delle barriere per chi ha problemi di movimento. Anche solo per andare un giorno in qualsiasi posto, devi sempre studiare prima l’itinerario e informarti al 100% di cosa trovi».

 

E cosa trova?

«Se non è negli USA è in Messico, se non è in Francia è in Romania, tu vai, chiedi, e ti dicono che l'albergo ha camere accessibili per la disabilità. Poi arrivi e i trasporti non ci sono mai, o ci sono pullman senza pedana. In Messico c’erano pullman antichi. Non solo non avevano neanche l’ombra di una pedana, ma anche la porta di accesso al pullman era di 60 centimetri. E quindi, anche trovando qualcuno che mi prendesse con la carrozzina per farmi salire, non sarei mai passato dalla porta. Ti devi adattare sempre, in mille modi diversi. Due settimane fa sono andato per una gara del circuito a Marrakech, in Marocco: la camera era accessibile, però per arrivare in camera c'erano due rampe da paura. Potevi essere forte quanto volevi, ma da solo non potevi arrivare in cima. Avevi sempre bisogno di qualcuno che ti spingesse. Autonomia zero, spirito di adattamento tanto. Impari a chiedere aiuto e a vincere nonostante tutto».

Tratto da SM Italia 6/2017

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