Ayrton Senna, l'immortale

Il 2 maggio 1994 Tuttosport esce in edizione straordinaria nel giorno in cui il pilota muore al Tamburello, dove Berger e Piquet si erano salvati
Ayrton Senna, l'immortale© LaPresse

Due morti e otto feriti. La quattordicesima edizione del Gran Premio di San Marino ci consegna un bollettino di guerra che poco ha a che vedere con lo spirito di un evento sportivo, pur rischioso come è nella sua natura. Se qualcuno sabato ha pensato cinicamente che in fi n dei conti era morto “solo” Roland Ratzenberger, ieri è stato messo di fronte alla realtà nel modo più duro e scevro di equivoci. È MORTO SENNA. Nessuno ha potuto illudersi, fin dalle prime notizie giunte al circuito mentre la gara proseguiva, che il brasiliano potesse essere l’ennesimo miracolato, è stato subito fin troppo chiaro che un’altra tragedia si era consumata sotto gli occhi di milioni di telespettatori. È morto Senna. È morto il migliore, il più forte pilota del mondo. È morto come Ratzenberger, il più conosciuto nell’ambito della Formula 1. E come l’austriaco è morto perché all’improvviso la sua macchina è impazzita, non per un errore. È difficile anche per chi di solito predilige le vie della razionalità non pensare che ieri si sia abbattuta la nemesi sul circuito di Imola. La vendetta di qualche potere sovrannaturale tanto più spietato quanto più i reggenti del “circus” si sono sforzati di far credere che tutto fosse normale. In un paio d’ore si è tramutata in realtà tutta la temuta casistica di incidenti che si possono verificare in un Gran Premio.

Fatale la curva del Tamburello

La Formula 1 ha dispensato dolore e morte in modo molto democratico, colpendo il pilota più oscuro e il più famoso, gli spettatori sulle tribune ed i meccanici ai box. La differenza tra l’altamente improbabile e l’impossibile è sotto i nostri occhi. Era altamente improbabile che succedesse tutto ciò in una sola gara, ma poteva pur sempre capitare. Fatalità - ripetevano ieri tutti nel paddock -, è stata una serie incredibile di fatalità. È vero solo in parte: una simile serie di sciagure in un lasso di tempo così breve contravviene le leggi della statistica, però non ci si può nascondere semplicemente dietro la fatalità. Abbiamo sentito opinioni molto disparate dopo la corsa, in qualche caso si è cercato di scaricare le responsabilità su altri. Ovviamente c’è chi ha tirato in ballo i piloti, che sarebbero solo capaci di pretendere guadagni maggiori. Riteniamo sia d’obbligo il rispetto per chi si trova a piangere due morti in due giorni. Sanno di rischiare e lo ammettono, ma non sono pazzi. Alboreto e Martini avevano lanciato il grido d’allarme prima che la stagione cominciasse, a loro si era associato pure Gianni Morbidelli e le pagine del nostro giornale erano state lo strumento con cui si era cercato di mettere in guardia la Federazione Internazionale. Ma nessuno si è preoccupato davvero. Si è corso in Brasile e ad Aida ed è sembrato che tutto fosse sotto controllo. Imola è stata la prima, autentica pista veloce di questo mondiale ed è stata anche causa di un bilancio terribile. È stata fatale a Senna la curva del Tamburello. Lì si era avverato il miracolo di Berger nell’89 e sempre in quel punto era scampato alla morte Nelson Piquet nel 1987. Stessa curva, ma diverse erano le macchine. Più veloci, più efficienti sotto il profilo aerodinamico. Anche più sicure in caso di urto. La logica scientifica del “crash test”, tuttavia, non può essere applicata all’uomo e adesso ci si accorge che probabilmente si è varcato il limite dell’umanamente possibile. Ratzenberger e Senna non hanno potuto fare nulla per ridurre le conseguenze dell’urto mentre, in istanti che devono esser stati per loro interminabili, hanno visto un muro di cemento volare loro addosso a 300 chilometri all’ora.

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