INVIATO AD ANTERSELVA - Sparo. «Centrato, bravo». Sparo. «Centrato». Sparo. «Ancora, tre su tre». A questo punto commetto lo sbaglio più ovvio: mi faccio prendere da un misto di esaltazione e panico. Ma come, mi dico, non ho mai preso un fucile vero in mano, se non una volta quelli fasulli dei Luna Park, è mi scopro un cecchino? Allora davvero posso fare il biathleta per un giorno. Le pulsazioni crescono, le braccia iniziano a tremare. Sparo, quarto bersaglio da sinistra, laggiù, a cinquanta metri. «Mancato». Sparo al quinto. «Mancato». Mi alzo e non devo né ricaricare né fare due giri di penalità. Sto solo provando, con un armaiolo del poligono di Anterselva, l’ombelico del mondo italiano e non solo del biathlon, anche se siamo al confine con l’Austria. E per essere onesti avevo l’aiuto di un supporto di legno che mi sosteneva la canna del fucile. Il problema maggiore, per uno come me che non riesce a fare l’occhiolino con il sinistro è mirare. S’inventano un pezzetto di cartoncino sotto l’occhiale. Sì, come quando vai dall’oculista a farti visitare. Ora provo senza supporto e in piedi. Inutile dirvelo: cinque errori. Il mirino va ovunque, non sta fermo. E non ho ancora sciato. Dorothea Wierer e gli altri azzurri della Nazionale, in partenza per i Mondiali di Oslo, lo stanno facendo da un po’. Ripetute furibonde di 400 metri, un tiro e via. Patrick Favre, il capotecnico tecnico azzurro mi ha da poco spiegato come si mette e toglie un fucile. «Sfili il braccio sinistro, con la mano destra prendi la canna e lo alzi. Lo prendi in mano e appoggi il gomito sinistro sull’anca e lo abbracci». Mica facile. E’ sagomato che sembra una scultura di Picasso, con gli spallacci che lo trasformano in zaino. Sono fatti a mano, personalizzati con la forma delle tue spalle. Due gli artigiani al mondo che li realizzano: uno in Germania, uno in Norvegia. Sotto sono collegati da due elastici. Sorridi quando noti che sono quelli che servono per legare i pacchi sul tetto dell’auto. Mi sento meno Gruppo Vacanze Piemonte... In realtà servono proprio per facilitare il togli e metti e soprattutto la stabilità del fucile quando è sulla schiena, nella parte sciata.
LE MARCE COL MARITO - Dorothea sta facendo lo scioglimento lungo, per evitare figuracce mi prendo un maestro e vado a provare se riesco ad andare avanti. L’altra sera, partendo da Torino, ho tolto la polvere dagli sci e dalle scarpe da fondo in cantina, dove giacevano da più di dieci anni. Quando lo racconto, Stefano Corradini, il marito della Wierer e allenatore dei baby fondisti trentini (Giacomo Gabrielli, bronzo l’altro giorno nella Sprint ai Mondiali Jr in Romania è un suo allievo), probabilmente trattiene una risata. Si parte per l’anello di 1.8 km. «Non è quello racing, quello di Coppa del Mondo. Iniziamo sul facile, quello turistico» mi dice. E via. «Dai, ma non vai male. Sei sciolto, hai padronanza dello sci. Però piega le braccia e tienile più vicine, raccolte. E poi hai una sola marcia, sembri un cinquantino». Gli racconto che seguo il Motomondiale. «Figo, io avevo una Ducati, ma l’ho venduta. Facevo troppo pochi chilometri per godermela.
Sai, ai ragazzini spiego sempre che nel fondo ci sono le marce». Arriva la salita, le proviamo. Prima: appoggio contemporaneo di uno sci e dei bastoncini insieme. «Non male». Scolliniamo, metto la seconda: pattinaggio doppio, spinta delle braccia ad ogni spinta delle braccia. «Non usciamo mezze parole: sei abbastanza una pippa». Mi rifaccio sul piano. Terza: pattinaggio lungo, appoggio anticipato dei bastoncini rispetto allo sci. Sfrutto gli insegnamenti da bambino del passo spinta con gli sci d’alpino. Si fa velocità, meno fatica. Discesa, quarta e quinta: bastoncini sotto le ascelle e spino solo con le gambe. E un pezzo a uovo. Sono nello stadio, Dorothea mi aspetta. «Ciao, hai la fascetta storta, posso? Così ti copro anche la stempiatura...». E giù una risata. Lei è così, come prendersela? E poi la fascetta me l’ha regalata lei, serie limitata (numero 10 di 100, manco Pogba). Senza contare che siamo nati nello stesso giorno, il 3 aprile. «Davvero?». Sì, rispondo. Solo che tu 25 anni fa e io quasi il doppio. Altra risata. «Dai andiamo. Però siamo sicuri di quello che stiamo facendo?». Patrick Favre annuisce. «Gli ho tolto le munizioni, il fucile non è carico». E’ quello della Sanfilippo. Meglio così, evitiamo di eliminare, stile Fantozzi, la nostra speranza d’oro ai Mondiali con una caduta o un movimento maldestro.
