Tibia e sci: binomio imperfetto

SALUTE & SPORT L'approfondimento con il professor Tencone. «Il piatto tibiale è morbido e spugnoso, ecco perché è un punto debole nelle cadute ad alto impatto»
Tibia e sci: binomio imperfetto

Prosegue il nostro viaggio nel mondo sportivo osservato da un punto di vista medico. Il dottor Fabrizio Tencone - uno dei più esperti traumatologi dello sport - è direttore di Isokinetic Torino ed è stato medico della Juventus dal 1995 al 2002 (oltre 400 “presenze”, tra cui la finale di Champions vinta nel 1996), poi coordinatore dell’intero settore medico bianconero dal 2010 al 2016. Ci aiuta settimanalmente - assieme ad altri esperti - a capire le dinamiche mediche dell’attività agonistica fornendoci anche le chiavi di lettura più “basiche”, tradotte in consigli pratici per tutti gli sportivi e appassionati.

Cos’è la frattura del piatto tibiale e come si cura?

Dopo il recente infortunio capitato alla nostra sciatrice Sofia Goggia molti pazienti mi hanno chiesto spiegazioni medico-sportive riguardanti tale infortunio; cercherò di chiarire i concetti generali della frattura del piatto tibiale.

La tibia è un osso definito “lungo”, ha una forma a candelabro ed insieme al femore costituisce lo scheletro del ginocchio e della gamba; la parte più vicina al ginocchio è detta piatto tibiale, esterno o interno, ed è la parte dell’articolazione del ginocchio dove si inseriscono i legamenti crociati e sono posizionati i menischi, indispensabili per stabilizzare l’articolazione e garantirne il corretto funzionamento.

Il piatto tibiale è costituito all’interno da osso “spugnoso”, con un aspetto a “nido d’ape”, è più morbido rispetto alla parte inferiore della tibia, ed è per questo motivo che può essere soggetto a fratture. La frattura del piatto tibiale si verifica principalmente negli infortuni sportivi “ad alto impatto” quali le cadute durante lo sci, l’atterraggio violento sull’acqua negli sport su tavola, e durante l’equitazione. Questo tipo di infortunio è doloroso e solitamente provoca notevole gonfiore del ginocchio. La diagnosi viene effettuata grazie ad una semplice radiografia, ma è corretto successivamente approfondire la tipologia di frattura eseguendo una risonanza magnetica nucleare o una TAC. 

Le fratture del piatto tibiale esterno non sono tutte uguali ed è importante definirne con precisione la gravità per scegliere la migliore terapia. Le fratture “composte”, come quella che fortunatamente ha avuto Sofia Goggia, sono le meno gravi e vengono curate senza ricorrere all’intervento chirurgico: viene posizionato un tutore che blocca il ginocchio e viene vietato il carico per 4-6 settimane. Durante questo primo periodo comincia la riabilitazione che deve portare alla completa risoluzione del dolore e del gonfiore e permettere il recupero muscolare e il mantenimento del miglior stato di forma possibile. Dopo 4-6 settimane l’atleta può iniziare ad appoggiare il piede a terra e progressivamente abbandonare il tutore e le stampelle. Da questo momento inizia quel periodo della riabilitazione che viene dedicato al ritorno allo sport, con la ripresa completa del tono muscolare e la progressiva introduzione dei gesti propri dello sport.

Purtroppo alcuni tipi di frattura del piatto tibiale sono più gravi, le parti ossee risultano “scomposte”, cioè spostate in modo anomalo rispetto alla corretta anatomia, e pertanto devono essere operate per poter garantire la migliore guarigione. L’intervento chirurgico prevede l’inserimento di mezzi di sintesi (viti e placche) che “bloccano la frattura” e ne permettono la formazione del callo osseo. 

In ogni caso la riabilitazione rappresenta il momento fondamentale per preparare il ritorno allo sport, e deve essere completata in tutte le sue fasi per ridurre al minimo i due principali pericoli successivi ad un grave infortunio sportivo: rischiare di non tornare ad essere più l’atleta di prima oppure rischiare di rifarsi male.

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