Baumgartner e quel lancio da record: "Sognare è vincere"

L’austriaco si racconta a 10 anni dal volo con il paracadute da 31.969,4 metri mentre la sua missione Red Bull Stratos diventa un documentario
Baumgartner e quel lancio da record: "Sognare è vincere"

TORINO - Dieci anni fa e un giorno, era il 14 ottobre, milioni di persone erano sintonizzate per seguire un base jumper, paracadutista, amante e praticante di sport estremi, ex militare: l’austriaco Felix Baumgartner. Quel giorno stava salendo ai confini dello spazio in una piccola capsula sollevata da una pallone aerostatico per saltare nel vuoto, per tornare a terra a una velocità superiore a quella del suono. Alle ore 19,09 del Nuovo Messico, negli Stati Uniti, Baugmartner si lanciò da quota 38.969,4 metri superando la velocità del suono e arrivando alla velocità massima di 1.357,64 km/h ovvero Mach 1,24. La missione si concluse con successo, senza danni, e permise alla Red Bull (organizzatrice e sponsor) di stabilire tre record: l’altezza massima raggiunta da un pallone aerostatico con equipaggio, l’altezza maggiore di un lancio da pallone aerostatico e la velocità massima raggiunta da un uomo in caduta libera.

Il record di durata di caduta libera è invece rimasto a Joe Kittinger, che faceva parte del gruppo di lavoro e stava guidando Baumgartner da terra. Un’impresa unica, entrata subito nell’immaginario collettivo, merito anche - a parte il valore intrinseco della sfida - della capacità mediatica della Red Bull (per dirla tutta - in fondo è giusto metterla tra parentesi - nel 2014 il record di altezza maggiore di un lancio da pallone aerostatico è stato battuto da Alan Eustace, vicepresidente di Google che si è lanciato da una altezza di 41.419 metri; ma, insomma, il primo è sempre il primo, di Baumgartner si ricordano tutti). In rete c’è anche un eccezionale docufilm, appena uscito. A Felix filò tutto liscio, salvo un intoppo alla visiera, risolto in corso d’opera. Un dettaglio: le immagini erano ritardate di una manciata di secondi, la cautela non è mai troppa.

Baumgartner, a dieci anni distanza, quanto spesso le capita di pensare al record, a quei giorni, all’impresa…

«Io sono una persona che preferisce guardare al futuro piuttosto che al passato. Però a parte questa ricorrenza, c’è sempre tanta gente che mi chiede cosa ricordi, cosa ho provato. In fondo mi fa piacere vedere che ci sia ancora tutto questo interesse. Spesso ne parlo, commento dei video. E come un’ombra che continua a seguirmi. E’ un riconoscimento al tanto lavoro di preparazione, mio e di tutti i membri della squadra che hanno lavorato con me».

Che cosa ricorda maggiormente di quei giorni nel Nuovo Messico? La preparazione è stata lunga e impegnativa.

«La cosa che ricordo maggiormente è che la preparazione è stata un susseguirsi di miglioramenti, passo dopo passo. Ci siamo impegnati tutti, ogni volta che pensavamo di aver risolto un problema ne spuntava un altro. Ma abbiamo sempre avuto la capacità di affrontarli tutto, uno a uno e risolverli. Ricordo le attese, l’attitudine a risolvere gli imprevisti. Bisognava avere la capacità di sedersi attorno a un tavolo, analizzare, andare avanti. Ogni problema poteva avere tante diverse soluzioni, bisognava considerarle tutte, a volte era frustrante, ma anche una grande sfida»

Alla fine vinta.

«E’ stato un percorso di crescita molto americano. La mentalità americana è quella di non guardare all’ultimo chilometro percorso, ma a quello che hai davanti. E’ una lezione che ho appreso e che utilizzo tuttora. Se tu hai un grande e complesso progetto devi dividerlo in tanti piccole “sezioni” e affrontarle una a una».

Anche il giorno X è stato così?

«Certo, il lancio doveva essere al mattino, poi è slittato sino alla sera. C’era un solo pallone aerostatico a disposizione, se l’avessimo rovinato saremmo dovuti rimanere a terra. Detto questo, ho molti ricordi, ma i più emozionanti arrivano sempre dal feedback che ebbi subito dopo l’impresa. Una valanga di congratulazioni di persona, sui sociali, in televisione, via mail. Qualcuno mi ha scritto: grazie Felix, questa tua impresa per noi è stato il nostro personale sbarco sulla luna. Non che io mi paragoni con gli astronauti che sono davvero sbarcati sulla luna, ma questi messaggi mi hanno riempito di orgoglio. E stato molto emozionante. Ma ricordo anche che alla fine della giornata ebbi bisogno di restare un po’ da solo».

Cosa direbbe a un ragazzo o a una ragazzo che volessero seguire le sue orme?

«Direi che essere sognatori in grande è già una vittoria. Bisogna chiedersi cosa lasceremo dietro di noi. Bisogna pensare in grande e cercare di imparare dai migliori, guardare sempre a tutto e a tutti, capire come possiamo imparare. Io sognavo questo da quando ero ragazzo, ho cominciato a 16 anni. Sempre crederci. A volta vai veloce, a volte lento, ma sempre devi crederci».

Paura non ne ha avuta mai durante l’impresa?

«Paura no, ma un senso di grande responsabilità. Quando ti trovi nel momento cruciale sai che tutto deve andare bene, non devi sbagliare nulla, bisogna controllare ogni cosa. Noi lavoravamo su tante informazioni, con molto esperti. Ero concentrato, avevo una lista lunga di punti da ripassare, di controlli da effettuare. Ha sempre prevalso la concentrazione».

Spesso gli astronauti dicono di provare forti emozioni a guardare la terra dall’alto. E’ stato così anche per lei?

«Certo, ho avvertito, la stessa cosa. Da una prospettiva così differente hai delle sensazioni completamente diverse, la terra ti appare piccola, capisci cosa vuol dire davvero che è l’unico pianeta che abbiamo, il nostro pianeta va protetto. A volte non pensi bene a cosa significhi, da lassù lo capisci subito. E al tempo steso hai la percezione di quanto noi uomini siamo piccoli».

Sappiamo che ha guidato anche delle auto da corsa al Nürbürgring.

«L’Audi mi offrì questa opportunità. Sapevo guidare, ma non da pilota. E il Nürbürgring è detto, non a caso, l’inferno verde. Ma io applicai il metodo che avvo imparato nella stratosfera: imparare e crescere per passi successivi. Alla fine ce l’ho fatta, ho corso la 24 Ore. E la soddisfazione è stata il buon lavoro di squadra con i compagni. In fondo, anche il lancio è stato questo. Un lavoro di squadra».

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