Il capolavoro Mahomes e l’overdose Taylor Swift

Kansas City vince il Super Bowl, guidata dal quarterback che centra il terzo successo consecutivo. Tante attenzioni per la findanzata di Kelce, che oscura anche lo show di metà partita
Il capolavoro Mahomes e l’overdose Taylor Swift© EPA

Killer o vincitore che sia, l’ossessione di molti americani per chi fa le cose in serie non si placa, ed ecco allora che la terza vittoria del Super Bowl in cinque anni da parte dei Kansas City Chiefs, seconda consecutiva, accende la (poca) fantasia e fa parlare di dynasty, dinastia, altro concetto che suscita fremiti irrefrenabili soprattutto nei media, per i quali diventa una categoria del pensiero e una maniera semplice di raccontare una realtà ovviamente più complessa. Di fatto, Kansas City ormai da parecchi anni è una squadra di altissimo livello, costruita in maniera egregia dal general manager Brett Veach e allenata in modo empatico e professionale da Andy Reid, che in un capovolgimento delle procedure abituali è stato l’artefice dell’arrivo ai Chiefs proprio di Veach, dopo averlo avuto come stagista.

In campo, il salto di qualità è arrivato nel 2017, quando è arrivato Pat Mahomes, che al college aveva giocato molto bene ma era stato vittima di un preconcetto, quello cioé che chi gioca col tipo di schemi della sua Texas Tech University non avesse bisogno di possedere un grande talento, situazione non traducibile in termini nostrani se non dicendo, in maniera imperfetta, che era come non essere certi del valore di uno chef solo perché qualcuno gli ha messo sul tavolo gli ingredienti solo da cucinare. E lì il merito è davvero di Veach, che un giorno di primavera di quel 2017 fermò Reid e gli disse «ho appena visto il video del nostro prossimo quarterback».

Il fidanzato d'America

Riserva di Alex Smith, poi messo ko da un brutto infortunio ma mentore saggio ed altruista, una volta entrato in campo in modo costante Mahomes è stato fermato solo da accidenti tattici (la strepitosa difesa di Tampa Bay nel 2021, che lo ha braccato senza farlo respirare) e rari errori, ma nei tre Super Bowl vinti ha sempre guidato i suoi alla grande, crescendo nel secondo tempo come domenica notte, quando ha ritrovato l’intesa con il suo ricevitore migliore, Travis Kelce. Ebbene sì, il fidanzato d’America, o meglio il fidanzato della fidanzata d’America, l’onnipresente Taylor Swift, oggetto di livello di attenzione e piaggeria raramente viste, tra definizioni pietiste («è stata costretta a restare per tutta la partita nel suo palco privato», manco fosse una prigione) e omissioni clamorose, perché nella maggior parte dei casi la notizia di un volo privato per raggiungere gli USA da Tokyo, al termine di un concerto, avrebbe suscitato molte più proteste per l’inutile consumo di carburante e non esaltazione per l’attaccamento al fidanzato. Un atteggiamento di ossessione per la coppia che ha avvicinato molti e allontanato altri, anche illustri, se è vero che il tennista Andy Murray si è ironicamente congratulato con lei per la grande prestazione, in un tweet subito popolarissimo che ha schienato anche chi, dimostrando di non avere capito nulla, gli ha ricordato i frequenti primi piani della madre durante le due edizioni di Wimbledon vinte. Sta di fatto che del rutilante spettacolo di Usher all’intervallo non ha parlato quasi nessuno, perché la vera rockstar era in tribuna, o meglio segregata nel palchetto di lusso. La deriva complottista sul potenziale rilancio del Partito Democratico grazie all’attenzione mediatica sulla coppia simpatizzante Kelce-Swift sicuramente regge a livello teorico, nel clima attuale di faziosità contrapposte, ma la partita in campo non ha avuto alcuna influenza sospetta ed è stata decisa dal talento di giocatori e allenatori. 

San Francisco, al terzo Super Bowl perso dal 2013, secondo contro Kansas City dopo quello del 2020, ha iniziato bene e tenuto in mano la partita, grazie anche alla brillantezza del coach Kyle Shanahan, ma non ha saputo tradurre la sua intraprendenza in punti: eppure, era andata a +10 ma una maggiore attenzione della difesa di Kansas City e un paio di circostanze fortuite - la palla ovale rotola un po’ dove le pare, del resto - hanno fatto pendere la partita dalla parte dei Chiefs, che l’hanno pareggiata a 2” dalla fine e vinta ai supplementari. Una dinastia nata dal merito e dallo studio: anche se di per sé la cosa non ha influito sul risultato, ha fatto impressione leggere che alcuni giocatori di San Francisco non conoscessero le regole sullo svolgimento dei supplementari, che nel Super Bowl sono diverse rispetto alle normali partite di campionato.  

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