Schwazer a Tuttosport un anno fa disse: “Avrò giustizia”

Il 31 dicembre 2019 il nostro quotidiano pubblicò un’intervista esclusiva del Direttore Xavier Jacobelli all’olimpionico azzurro a Vipiteno. L’atleta affermò: “Non mollerò mai: grazie a chi mi ama vincerò questa marcia”
Schwazer a Tuttosport un anno fa disse: “Avrò giustizia”

Tuttosport, 31 dicembre 2019: ecco l'intervista esclusiva di Xavier Jacobelli ad Alex Schwazer

VIPITENO - Domattina, alle 7.20 in punto, saranno passati quattro anni. Quattro anni da quel primo gennaio a Racines, paese altoatesino a 80 km da Bolzano, quando la Wada si presentò a casa di Alex Schwazer per un controllo antidoping a sorpresa. Uno dei tanti ai quali veniva sottoposto l’oro nella 50 km di marcia ai Giochi di Pechino 2008: quel giorno egli non sapeva che una provetta gli avrebbe aperto le porte dell’inferno. Squalificato nel 2012 fino al 29 aprile 2016 per essere risultato positivo a un test e scontata la pena, nello stesso 2016 Alex torna a gareggiare nei Mondiali di marcia a squadre, vincendo la 50 km e qualificandosi per i Giochi di Rio, dove si sarebbe presentato nel ruolo di grande favorito. Ma il 22 giugno 2016, la Iaaf, oggi World Athletics e la Wada comunicano alla Fidal: Schwazer risulta positivo al testosterone. Per questo motivo, la Iaaf lo sospende in via cautelare in attesa della decisione finale del Tas (Tribunale Arbitrale dello sport), che il 10 agosto, esattamente cinque giorni dopo l’inizio delle Olimpiadi brasiliane, squalifica l’atleta per 8 anni, impedendogli di partecipare ai Giochi e cancellando tutti i suoi risultati registrati nel 2016. Sin dal primo momento, Schwazer protesta la sua innocenza, sempre difeso a spada tratta dal suo allenatore, Sandro Donati, 72 anni, uno dei più grandi tecnici dell’atletica leggera italiana, da una vita in prima linea nella battaglia contro il doping.

"Il ragionevole dubbio" del Gip

Il 7 settembre scorso, nel giorno del suo matrimonio con Kathrin, 36 anni, Tuttosport anticipa il risultato della perizia dei Ris di Parma che conferma tutti i sospetti di manipolazione del campione di urina prelevato il fatidico 1° gennaio 2016. Il 16 ottobre, per la prima volta il gip Walter Pelino del Tribunale di Bolzano (dove Schwazer è indagato per frode sportiva circa la positività del 2016) ha parlato dell'ipotesi di «manipolazione» delle provette. E ordina un supplemento di indagine: «Tra le ipotesi atte a spiegare l’anomala concentrazione del Dna riscontrato nelle aliquote di urina relative al prelievo del primo gennaio 2016 […] quella della manipolazione è l’unica, allo stato, suffragata da elementi indiziari e, comunque, resa possibile dai gravi vizi già accertati dalla catena di custodia e concretamente attuabile senza particolari difficoltà. E questo basterebbe senz’altro ad affermare, già oggi, la sussistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’indagato e a suffragare l’archiviazione del procedimento a suo carico». Pelino chiede nuovi test su 50 atleti volontari da «reperire con la collaborazione della Fidal che pratichino in maniera agonistica la marcia o attività sportive nelle quali si richiedano similari sforzi fisici e prelevare un campione d’urina da ciascuno di essi». Alla Wada, invece, il giudice domanda di produrre i valori biologici di 50 sportivi che sono risultati positivi al testosterone. La Wada, lo leggete in questa stessa pagina, scantona. Si arrampica sugli specchi. Non collabora. La federazione italiana di atletica, sì.

«C’è un giudice a Bolzano»

«Voglio sottolineare il comportamento della Fidal e ringraziarla pubblicamente. Già all’indomani dell’ordinanza del giudice si è resa disponibile a fornire le provette dei campioni prelevati agli atleti in superallenamento. Sinceramente, non me l’aspettavo. Questo è l’atteggiamento di chi non ha nulla da nascondere». La bimba di Kathrin e Alex si chiama Ida. Il nome discende dal tedesco antico Itha che significa donna guerriera. Talis filia talis pater, vien da dire. Non ci vedevamo da poco più di due anni. Alex ha l’aria serena, calma, determinata. Sorseggiamo un succo di mele. Il 10 dicembre scorso, il Tas di Losanna ha respinto la richiesta di sospensione della squalifica del marciatore. Secondo i giudici, non è dimostrata la «massima probabilità» della manipolazione delle urine usate per il controllo antidoping che portò alla squalifica. Alex se l’aspettava: «Negli ultimi anni soltanto 3-4 istanze sono state accettate, tutte le altre sono state respinte». Ma l’avvocato Gerhard Brandstaetter è come Schwazer: non molla: «Andremo davanti al Tribunale federale, con lo scopo di portare le prove necessarie per una sospensione della squalifica». Alex annuisce: «Il nuovo verdetto è previsto in marzo. L’udienza penale a Bolzano, invece, è fissata per il 22 luglio. I Giochi di Tokyo cominceranno il 24 luglio e termineranno il 9 agosto. Non potrò parteciparvi: essendo sotto squalifica, non ho la possibilità di ottenere il tempo minimo di qualificazione. Ma la cosa più importante è un’altra: il 2020 deve essere l’anno in cui, finalmente, otterrò giustizia. Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada il dottor Pelino, un giudice che non si fa intimorire, sebbene egli sappia che io sono un singolo atleta opposto a istituzioni molto forti e molto potenti. Peraltro, formalmente, a Bolzano sono ancora imputato nel procedimento in corso...».

«Perché non sono crollato»

Ma il vento è cambiato, Alex. O sbaglio? «Non sbaglia. La perizia dei Ris, frutto del grandissimo lavoro dei Carabinieri di Parma; il ruolo di Donati che dal 2016 non ha smesso un attimo di sostenermi, di rincuorarmi, di attaccare il sistema dell’antidoping evidenziandone tutte le falle; quelle 34 pagine del Gip di Bolzano e il «ragionevole dubbio» che la provetta sia stata manipolata; la collaborazione della Fidal; la strategia legale impostata dall’avvocato Brandstaetter che non ha mai arretrato di un millimetro...». Domani si compiranno quattro anni di questo incubo kafkiano in cui c’è dentro di tutto: la Wada, gli hacker russi, le mail disvelate, le rappresaglie dei nemici suoi e di Donati che vi hanno preso di mira perché avete denunciato le magagne dell’antidoping; la sua immagine di campione olimpico infilata nel tritacarne mediatico, esposta agli attacchi dei conigli da tastiera e degli odiatori seriali. Signor Schwazer, come ha fatto a resistere? «Ciò che è capitato a me è stato quanto di peggiore possa succedere a un atleta. Improvvisamente, può crollarti tutto addosso. Può sembrarti di non avere più nulla. Ma per me non è stato così. Quando hai una famiglia, la prospettiva cambia, anche nei momenti più difficili. Un atleta vive per il suo sport, lo sport è il suo mondo e se rischi di perdere questo mondo, si fa dura. Ma io ho trovato in mia moglie la persona che mi ha sempre sostenuto, che mi ha stimolato. Grazie a Kathrin e a Ida: può succedere qualunque cosa, lo sport resterà la mia passione e il mio lavoro, ma non la mia vita. La mia vita è la mia famiglia».

«Il doping dei russi non mi stupisce»

Il succo di mele è rimasto a metà. Alex si racconta volentieri: «Nel 2012 mi ero iscritto all’Università di Innsbruck, facoltà di economia, per scoprire altri mondi. Ora lavoro e, tempo permettendo, mi alleno. Sono squalificato, quindi non posso frequentare atleti tesserati né strutture del Coni. Alleno podisti amatori: ho un gruppo fisso nella provincia di Bolzano e molti altri on line, in tutta Italia. Posso mettere a disposizione la mia esperienza: non alleno in maniera classica, non spedisco tabelle di lavoro e aspetto i dati di riscontro. Ascolto, verifico, consiglio, indico la strada da seguire. E’ un lavoro che mi dà molta soddisfazione perché non c’è nessuno di mezzo fra me e l’atleta. E sono felice di trasmettere agli altri ciò che ho imparato in questi anni di marcia». Si parla di tutto. Gli mostro i libri di Tuttosport sul Grande Torino e su Gaetano Scirea. Glieli ho portati in dono insieme con la targa che riproduce la storica prima pagina del primo numero del nostro giornale, addì 30 luglio 1945. Editoriale di Renato Casalbore, il fondatore. Titolo: «Prospettive». Casalbore è scomparso con gli Invincibili, il 4 maggio 1949. Alex si schermisce: «Non sono un grande appassionato di calcio, ma so che cosa è accaduto a Superga, che cosa abbia rappresentato il Grande Torino, non soltanto nel calcio, per l’Italia che rialzava la testa dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, chi sia stato Scirea, un modello di fuoriclasse assoluto». E’ così. Al contrario, un modello di fuoriclasse assoluti non sono stati di certo gli atleti russi: quattro anni di squalifica per doping, Russia fuori da tutte le competizioni se il Tas, com’è praticamente certo, respingerà il ricorso di Mosca. Il sorriso di Schwazer è sardonico: «Già nel 2011 avevo parlato del doping sistematico dei russi. E lo sa perché a un certo punto mi ero dopato anch’io? Perché mi ero stufato di farmi battere ogni anno da chi barava. Io ho sbagliato, ho pagato, mi sono pentito, mi sono schierato dall’altra parte della barricata. Ho parlato molte volte con alcuni colleghi russi. Mi dicevano: “Sappiamo di fare qualcosa di sbagliato, ma questo è il sistema”. E il sistema non cambia, non può cambiare se chi lo dirige, chi allena rimane al suo posto per troppi anni ...».

CR7 e la sindrome del campione

Il tempo scorre via veloce. Sbotta: «Quando si parla di sport non ci si annoia mai». Poi marcia all’indietro nel tempo: «Quando ho vinto un’Olimpiade a 23 anni. Sono già passati undici anni. Non me lo sono goduto sino in fondo quel trionfo, sa? E sa perché? Perché quando diventi campione olimpico pensi subito a migliorarti, a spostare i tuoi limiti sempre un po’ più in là. E questo è un errore che non si deve commettere». E’ la sindrome di CR7? E’ la molla che lo spinge a dare e a fare sempre di più, ma non tutti sono CR7... «Alcuni fra i podisti amatori che alleno hanno un’età compresa fra i quaranta e i cinquant’anni. Dico loro: attenti, ogni anno che passa non potete pensare di migliorare sempre e comunque le vostre prestazioni. E’ impossibile, poiché è nell’ordine naturale delle cose che, a mano a mano il tempo passa, il fisico ne risenta. A vincere è sempre il migliore, non il più magro. Quindi, per chi vince l’importante è mantenersi sui livelli che gli hanno consentito di arrivare primo. E’ questo ciò che conta. Io l’ho imparato a forza di prendere legnate». Sorride. Si sta facendo tardi. Non so se capiti anche a voi, quando incontrate una persona e non so se anche per voi la prima impressione sia quella che conta. A me capitò due anni fa, la prima volta che mi ritrovai a faccia a faccia con Schwazer, all’epoca bersaglio sistematico di troppi professionisti dell’antidoping, degli sputasentenze un tanto al chilo, di quelli che con cento battute di un tweet pretendono di spiegarti come gira il mondo e, soprattutto, giudicano senza sapere. Il caso Schwazer, grazie alla cocciutaggine di questo altoatesino e al martellamento di Donati, ha messo a nudo molte, troppe pecche del sistema antidoping. Ha reso improcrastinabile l’esigenza di controllare i controllori, sennò che razza di controlli ci sono? Dicono ci sia un tempo per tutto. Verrà il tempo in cui si scoprirà chi ha scritto Racines sulla provetta destinata al laboratorio di Colonia che doveva rimanere anonima. Perché le chiavi del laboratorio erano in possesso di otto persone diverse. Chi ha voluto far fuori Alex da un’Olimpiade che avrebbe sicuramente vinto poiché era in uno stato di forma eccezionale e i suoi tempi erano i migliori. Schwazer ha compiuto 35 anni il giorno di Santo Stefano. Il 2020 promette di essere l’anno della Grande Rivincita. Da dedicare a se stesso, a Kathrin, a Ida, a tutti quelli che hanno sempre creduto in lui. E sono tanti.

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