"Schwazer fatto fuori dal sistema corrotto"

A tre giorni da Tokyo esce il libro di Donati: "I signori del doping"
"Schwazer fatto fuori dal sistema corrotto"© /Ag. Aldo Liverani

Buongiorno Alessandro Donati. Fra tre giorni cominciano i Giochi di Tokyo. Da oggi in tutte le librerie esce il suo libro “I signori del doping - Il sistema sportivo corrotto contro Alex Schwazer”. Quando ha pensato per la prima volta di scriverlo e qual è stata la ragione più forte che l’ha spinta a realizzarlo?

«L’ho pensato durante i primi mesi della collaborazione con Alex, intorno alla primavera del 2015, quando intravvedevo una conclusione molto positiva della storia, quindi la possibilità di un suo grande recupero visto che in allenamento avevamo grandi risposte, in quel periodo pensai che avrei potuto scrivere un libro, ma di carattere tecnico, sui metodi di allenamento che avevo sviluppato. Poi tutto è cambiato: quando mi sono reso conto che eravamo diventati sempre più un bersaglio allora ho compreso che eravamo precipitati in una brutta storia, la più brutta che mi fosse capitata. E fu allora che iniziai a pensare a un libro ben diverso da quello che avevo immaginato la prima volta; pensai ad un libro di testimonianza».

Dunque la vostra collaborazione tecnica iniziata nella primavera del 2015 ha dato quasi subito fastidio?

«Diciamo che già dopo i primi giorni abbiamo registrato degli attacchi da parte di un gruppetto di “fiancheggiatori italiani”; però ci badai relativamente, visto che Alex stava andando alla grande. Poi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 sono iniziati i primi atteggiamenti ostili della Wada verso di me, in stretto parallelismo con una insistente strategia di esposti e tentativi di discredito attuati dal suddetto gruppetto italiano. Quando poi a giugno 2016 è arrivata la nuova accusa di doping che gli ha fatto saltare i Giochi di Rio de Janeiro e ne ho compreso gli inquietanti risvolti, allora ho capito che questo libro lo avrei dovuto scrivere per forza, per documentare ciò che stava succedendo».

Giustizia ordinaria e sportiva. Per Schwazer hanno dato due risposte diverse, innocente e colpevole. Ripensando all’iter che avete seguito rifarebbe tutto o cambierebbe qualcosa?

«Non c’erano altre strade, ci siamo rivolti all’autorità giudiziaria perchè era l’unica via per dimostrare la sua innocenza e meno male che lo abbiamo fatto, altrimenti saremmo rimasti sepolti sotto questo agguato».

A maggio di quest’anno prima il Tas e poi il Tribunale federale svizzero hanno rifiutato la richiesta di sospensiva per cui Schwazer perde anche questi Giochi di Tokyo. Ora Alex cercherà di andare avanti ulteriormente dal punto di vista della giustizia o si arrende?

«Il sistema della cosiddetta giustizia sportiva è purtroppo sganciato da tutto ed autoreferenziale, ma Alex non ha detto basta. La verità è che questa vicenda ha messo in evidenza la distanza siderale tra la giustizia sportiva e quella ordinaria. La prima indaga con organi e modi non adeguati, si tratta di una pseudogiustizia che si estrinseca nell’arco di poche ore con procedimenti che le istituzioni sportive basano quasi esclusivamente sulle loro carte e la possibilità per le persone che si contrappongono a questo sistema è pari quasi a zero. Difficile, per non dire impossibile, avere da questa gente la documentazione in loro possesso e, di fatto, è impossibile produrne una propria. A Rio de Janeiro, prima che iniziasse l’Olimpiade, quando abbiamo prodotto i risultati di circa 40 controlli ematici a cui si era sottoposto Alex volontariamente presso l’ospedale San Giovanni di Roma, questi sono stati considerati dalla Federazione internazionale di atletica e dal TAS come cose di nessun conto, con un ineffabile senso di distacco e di arroganza. Peccato che poi la struttura laboratoristica del San Giovanni abbia vinto un premio europeo sull’affidabilità dei propri esami e quindi dei loro laboratori. Per la WADA hanno valore solo i risultati prodotti nei suoi laboratori, nonostante a quasi venti di loro sia stato ritirato per brevi o per lunghi periodi l’accredito per le violazioni o gli errori commessi! Un atteggiamento da parte della WADA di superiorità e sprezzante nei confronti di laboratori di prestigio che hanno, ad esempio, molta più esperienza di loro nell’effettuare le analisi ematiche. Dunque, a Rio, questa prima arma importante che avevano a disposizione per dimostrare l’assurdità della positività non è stata ammessa. Per non parlare della seconda prova che ho cercato di illustrare ma non me ne è neanche stato dato il tempo: ho spiegato e documentato che portavo Alex ogni 15 giorni a svolgere dei test in un laboratorio di fisiologia avanzatissimo, e i dati dimostravano l’assoluta regolarità dei suoi parametri e che quindi si trattava di un atleta assolutamente in regola. Allo stesso modo sono stati ignorati i dati della sua composizione corporea che avrebbero confutato alla radice l’assurda accusa di assunzione del testosterone. Bene, non c’è stato nulla da fare, non hanno preso in considerazione nulla di tutto ciò. Siamo arrivati poi, dopo quattro anni di serrate indagini alla gravità estrema di ciò che ha evidenziato la procura di Bolzano, che ha smentito la positività emersa ed ha rovesciato contro la Wada e contro il laboratorio di Colonia accuse gravissime di falsi di ogni genere. La verità è che, se tu ti devi difendere dalle accuse delle istituzioni sportive, sei finito prima ancora di cominciare. Per non parlare poi del fatto che il report della positività di Schwazer se lo sono tenuto nascosto per un mese e otto giorni quando invece avrebbero dovuto immediatamente girarlo all’atleta e alla Federazione di pertinenza: c’era il chiaro scopo di mettere Alex nella condizione di avere il minor tempo possibile per difendersi. Lo chiamiamo giustizia un sistema di procedimenti che durano poche ore, a Rio quattro ore? Credo che si tratti di una parodia di giustizia, una messa in scena».

Dunque la marcia per la giustizia di Schwazer è arrivata alla fine o no?

«Non si ferma qui. Faremo querele, intraprenderemo azioni risarcitorie, Alex vuole portare sino in fondo anche il procedimento di Losanna. Il Tas ha deciso infatti solo sulla sospensiva non sul merito. Per cui è determinatissimo anche se il primo no del Tas non autorizza grandi illusioni. In questo senso Alex è molto più “sportivo” di me che non riporrei un grammo di fiducia in un sistema del genere. La verità è che al sistema sportivo interessa mantenere la propria roccaforte. In realtà la Wada è un sistema di potere più che una istituzione finalizzata a combattere il doping».

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