BELFAST - Ancora pioggia e vento sul Giro, ancora tanto entusiasmo in questa gente che ama il ciclismo perché vive di sfide e di progetti complicati. L’Irlanda ha una devozione quasi religiosa per i nostri campioni del pedale. Nella zona del porto, non lontano dalla cattedrale di Sant’Anna, c’è un ristorante che si chiama Coppi e che al suo interno riporta su di un’intera parete la gigantografia di Fausto in maglia Bianchi. E ieri mattina, mentre il gruppo attraversava il villaggio di Dunley, ecco spuntare dal a un enorme manifesto che ricordava “the best cyclist of the world”,Marco Pantani. Belfast non dimentica il Pirata, Belfast in questi giorni accoglierà nelle sale il nuovo film del regista inglese James Erskine, “Pantani: the accidental death of a cyclist”, la morte accidentale di un corridore, nelle sale del Regno Unito dal prossimo 16 maggio. Erskine è un amante dello sport, nella sua filmografia figurano lungometraggi dedicati alla nazionale di calcio inglese ai Mondiali di Italia 1990 (”A Night in Turin”), alla vita di Ayrton Senna (”Man of Wire”) e al Brasile di calcio ai Mondiali del 1986 (”Shooting for Socrates”).
Mister Erskine, com’è nata l’idea di fare un film su Pantani?
«Ero rimasto colpito dalle imprese di Marco corridore, poi un mio amico che ha corso in bici mi ha spinto ad andare più a fondo.Allora ho letto un libro di Matt Rendell e ho scoperto aspetti affascinanti e tragici, l’ideale per un film».
E’ stato un film “facile” da fare?
«Tutt’altro. Sono venuto molte volte in Italia, ho parlato con la famiglia di Marco e con tanti suoi amici. Ma c’erano degli aspetti delicati, compreso quello della morte, e altri sui quali era difficile trovare una verità dei fatti, perché il ciclismo tra la fine degli Anni Novanta e l’inizio del terzo millennio era pieno di zone d’ombra».
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Mister Erskine, com’è nata l’idea di fare un film su Pantani?
«Ero rimasto colpito dalle imprese di Marco corridore, poi un mio amico che ha corso in bici mi ha spinto ad andare più a fondo.Allora ho letto un libro di Matt Rendell e ho scoperto aspetti affascinanti e tragici, l’ideale per un film».
E’ stato un film “facile” da fare?
«Tutt’altro. Sono venuto molte volte in Italia, ho parlato con la famiglia di Marco e con tanti suoi amici. Ma c’erano degli aspetti delicati, compreso quello della morte, e altri sui quali era difficile trovare una verità dei fatti, perché il ciclismo tra la fine degli Anni Novanta e l’inizio del terzo millennio era pieno di zone d’ombra».
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