Ciclismo, «Pantani? Uno così ogni 100 anni»

L’amico di una vita: «Ci siamo conosciuti... picchiandoci. Poi sempre insieme». «A 16 anni si allenò sul Carpegna con i corridori famosi, ma senza staccarsi. Uno di loro mi chiese chi fosse: aspetta che cresca e lo capirai»
CESENATICO. La Città di Cesenatico è piena di tradizione calcistica, avendo dato i nati a un portierone come Giorgio Ghezzi e due allenatori come Azeglio Vicini e Alberto Zaccheroni . Ma non ce ne vogliano gli appassionati del pallone, se diciamo che Cesenatico è soprattutto Marco Pantani , il Pirata che morì solo e abbandonato per un edema polmonare e cerebrale il 14 febbraio di dieci anni fa in un hotel di Rimini, perché nel giorno di San Valentino la solitudine angosciante può diventare insopportabile. Cesenatico è Pantani in via dei Mille, dove sorge quella che ìun tempo era la casa di famiglia; trasuda di lui davanti a quella stesa dimora, all’altezza di piazza Marconi, dov’è posto il monumento che ricorda il Pirata e che fu fatto da una campionessa di judo come Emanuele Pierantozzi ; o nel chiosco in mezzo alla pineta, dove mamma Tonina , papà Ferdinando detto Paolo e la sorella Manola dispensavano piadina a romagnoli e turisti; o in quella che un tempo era la Sala Giochi di via Torino, o ancora presso il Pantani Fans Club o nell’officina di Vittorio Savini in via Aurelio Saffi; o al Bar del Corso, presso la sede della Fausto Coppi, lungo il canale del porto di fronte al municipio; o ancora fuori città in via Fiorentina, dove Marco si trasferì con la sua famiglia e con la fidanzata Christina dopo aver dimostrato al mondo che cosa fosse capace di fare sui pedali. Ma la figura di Pantani trasuda purtroppo anche al Cimitero, dove a tutt’oggi si assiste a un lento, silenzioso, mesto e continuo pellegrinaggio per capire magari dal cielo come mai sia stato possibile che la storia di uno dei più grandi campioni di ciclismo abbia scritto un ultimo capitolo così amaro e assoluto. A soli 34 anni...

A dieci anni dalla morte del Pirata, abbiamo incontrato un suo grande amico, Andrea Agostini , coetaneo e compagno di scuola e poi di bici e poi di svaghi e poi ancora di notorietà, ancora e sempre al suo fianco, come responsabile delle comunicazioni della MercatoneUno, la formazione storica di Marco, unitamente alla Carrera, con la quale esplose nei primi anni di professionismo. Oggi Agostini è il pr della Bmc. Vive a Cesenatico con la moglie Francesca e con i figli Alessandro , di 11 anni, e Filippo , di sette.

Agostini, qual è il suo stato d’animo a dieci anni da quel tragico giorno?
«Resta una ferita aperta e molto profonda. Adesso pare che tutti gli siano stati amici e io lascio che sia così. Mah...»

Mah...?
«Non sono andato a un maxi raduno del 13 gennaio scorso, quando Marco avrebbe compiuto 44 anni. Non mi andava, sentivo che c’era qualcosa di costruito e di poco sentito in troppa gente...».

Lei e Marco: quando iniziò l’amicizia?
«Ai tempi delle scuole. Eravamo sempre insieme, perché siamo coetanei. Stesse elementari, stesse medie, tra i libri a studiare ma anche fuori a divertirci».

Come vi siete conosciuti?
«Picchiandoci! Sì, facendo a botte come capita spesso ai ragazzini. Ma poi siamo diventati molto amici»

Chi era il ragazzo Pantani?
«Un amico vero con cui era bellissimo trascorrere interi pomeriggi. Siamo stati vicini l’uno all’altro nel conoscere le prime ragazze e nelle prime vacanze lontani da Cesenatico».

Se ne ricorda una in particolare?
«Sì, estate 1991 in Thailandia. Io parlavo poco inglese, lui zero assoluto. Sul volo per Bangkok ci divertimmo un sacco e tutto sommato ce la cavammo benisimo nel corso delle tre settimane. Avevamo 21 anni!».

Lei sapeva che Marco sarebbe diventato... Pantani?
«Sì, me ne resi conto sin da quando eravamo allievi. Poi, da ragazzi, ne ebbi la conferma: durante un allenamento incrociammo un gruppetto di dilettanti e professionisti sulle alture romagnole con il Carpegna. Io mi staccai subito, Marco mi chiese se poteva allungare con gli altri, gli risposi di sì ansimando...»

E come finì?
«Al termine della pedalata, un professionista (Vandi o Savini, ndr) venne da me e mi chiese: ma chi è quello lì? non ha perso le ruote sino alla cima. E’ fortissimo! Io gli risposi così: aspetti qualche anno e saprà: si chiama Marco Pantani».

Quanti anni avevate?

«Sedici, ma lui già allora aveva un motore diverso. Uno così nasce ogni 100 anni».

Quindi lei non si stupì quando il suo amico marco incominciò a vincere?
«No, per niente. Lo sapevo. Le racconto anche questa: al secondo anno da juniores, Marco si fratturò un ossicino di un piede, ma una sola settimana dopo aver tolto il gesso corse la 3Tre Bresciana con soli otto giorni di allenamento. Ma fu il migliore di tutta la nostra squadra».

Un campione? Un fuoriclasse?
«Un autentico fuoriclasse. Il Tour lo ha vinto da fuoriclasse».

E adesso che cosa resta all’amico di tanti anni?
«Una rabbia profonda, perché Marco non ha saputo superare un momento di profonda debolezza. Oggi sarebbe un personaggio carismatico del ciclismo e non solo: una specie di Alberto Tomba, ma con una punta di inventiva in più».

Si poteva fare qualcosa in più o qualcosa di meglio?
«Quando ti muore un amico a soli 34 anni ti fai tante domande, ad alcune delle quali è difficile dare risposta. Ma qualcosa in più si doveva fare eccome!».

Lei che cosa pensa quando qualcuno le viene a parlare di doping?
«Divento nervosissimo e mi verrebbe da spaccare il mondo, perché Marco è stato il più forte di tutti e ha incominciato a stupire chi lo vedeva pedalare sin da quando era un ragazzino. Altro che doping! Io sono nel mondo del ciclismo da trent’anni e di campioni ne ho visti tanti. Marco era superlativo, poteva pedalare per sette ore con una sola borraccia e senza barrette, ma solo buttando giù qualche nocciolina. Dagli allenamenti lunghi con tante salite io rientravo senza sapere neppure come mi chiamassi, mentre lui pareva in grado di ricominciare dopo pochi minuti».

Che cosa farà nel giorno della ricorrenza dei dieci anni dalla morte?
«Penserò fortemente a lui e a tutte le cose belle che abbiamo fatto insieme. Mi manca tanto, Marco, ma gli amici rimangono anche quando non ci sono più».  


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