Pantani, la mamma: «Non mi arrendo, voglio vedere in faccia questi bastardi»

L’iter giudiziario sulla fine di Marco non ha convinto tutti, in primis la sua famiglia: «Non mi va di lasciar perdere. Combatterò finché non avrò la verità»
Pantani, la mamma: «Non mi arrendo, voglio vedere in faccia questi bastardi»© LAPRESSE

CESENATICO - In piazza Marconi, trenta gradi all’ombra, il sole picchia forte sulla testa lucida di Marco. Sono passati quattro anni e mezzo dall’inaugurazione della statua in bronzo, realizzata sul lungomare, che lo riproduce lì a grandezza naturale, nella posizione che lo consegnò alla leggenda: il Pirata che s’alza sui pedali. Poi la mente corre e ricorda il mito che solleva le braccia al cielo e il trionfo si completa in un tripudio di folla universalmente estasiata. Piancavallo, Alpe d’Huez, Galibier. Massì, anche Cesenatico, la sua terra. Luoghi simbolo di un fuoriclasse eterno, alla sua maniera. La processione non si ferma mai sul litorale romagnolo: più bici che macchine in arrivo, ma qui è una cosa naturale. Poi succede che in una notte di mezza estate una coppia di turisti dal chiaro accento inglese s’accosti al monumento, lui quasi s’arrampica per venir meglio sotto la luce dei riflettori, lei fotografa la scena sperando che il flash non tradisca sul più bello. Sembra che non conoscano quel campione lì, qualcuno glielo spiega, ma cosa importa? Conta esserci, in fondo. E l’omaggio quotidiano tocca altri due luoghi sacri: il museo multimediale denominato Spazio Pantani e il cimitero dove Marco è sepolto. La mamma è sempre lì, al suo posto: lei soffre, lei combatte, lei non dimentica, vent’anni dopo l’eroica doppietta Giro-Tour del figlio nel ’98.

Signora Tonina, a 14 anni dalla morte Marco è ancora vivissimo nei cuori della gente.

«Il ricordo è molto intenso. Io e mio marito Paolo tutte le mattine andiamo al cimitero e lì c’è sempre tanta gente in fila. Io non compro fiori, perché so che li portano gli altri. Ho visto tante persone piangere e so che anche stamattina sarà così. Molti sono giovani. Al monumento, poi, ho visto di tutto: l’altro giorno è arrivata una famiglia in bicicletta e ho sentito i genitori fare una promessa precisa al loro figlio. Avrà avuto nove anni: “Se fai il bravo, ti porto da Marco”. Far conoscere la storia di mio figlio è un regalo bellissimo. Merito della mamma e del papà di quel bimbo, che magari hanno visto Marco anche solo una volta in tv e trasmettono questa cosa ai loro figli».

Nel 2017 la Cassazione ha chiuso il caso sentenziando che Pantani, morto per overdose il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini, non fu ucciso. La sua battaglia continua?

«Io ho sempre avuto tanti dubbi. Ricordo che ero in Grecia quando mi fu comunicata la notizia dalla manager Manuela Ronchi. Nelle orecchie mi rimbomba ancora la sua voce quando mi disse che Marco era morto. Ho pensato subito che fosse stata una cosa preparata e da allora ho cambiato sette avvocati pur di arrivare alla verità. Invece, ci si è persi nel nulla. Non è stato facile, sono andata in crisi tante volte, mi chiudevo in me stessa, poi mi riprendevo e ricominciavo. Non lascio perdere. Ricordo bene anche l’articolo del direttore Jacobelli sulla prima di Tuttosport: «Marco è innocente, gli hanno fatto una bella porcata». E se vado avanti, lo faccio anche per i giovani di oggi, a qualsiasi sport si avvicinino, perché a loro non succeda mai quello che è accaduto a mio figlio. (Piange). Nessuno me lo ridarà più indietro, ma io mi batterò sempre per uno sport pulito. Come faceva Marco. La mia battaglia è iniziata 14 anni fa e andrò avanti finché non avrò la verità. Voglio vederli in faccia, questi bastardi».

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