Runner e insulti ai tempi del COVID19, cosa dice il cervello?

Ai tempi del COVID19 una parte del cervello si è concessa la licenza di insultare i runner, perchè sono sempre un "fastidio"?
Runner e insulti ai tempi del COVID19, cosa dice il cervello?

Li avrebbero mandati a quel paese anche prima! È un meccanismo “involontario” e in buona fede, quello che si cela dietro agli attacchi ai runner durante la quarantena.

Le ragioni vanno ricercate nella parte più antica del nostro cervello ossia quella preposta a difenderci dalle emozioni più dolorose: vediamo di seguito perché.

Lo stile di vita sano, l’attività fisica, sono da sempre al primo posto nei desideri delle persone, tuttavia la complessità della vita, la scarsezza di tempo e anche (diciamolo) un po' di pigrizia, costringono i più a farlo rimanere quasi sempre solo uno dei “buoni propositi” del primo dell’anno.

Ogni volta che qualcuno, o qualcosa ci rimette in contatto con questa consapevolezza, si scatena una emozione di dolore tanto più forte, quanto più si è lontani da un buon livello di salute e forma fisica.

Per questo il runner, la persona in forma, lo sportivo in generale, rappresenta un modello di riferimento difficile da “digerire” per chi ha uno stile di vita inattivo.

Nella nostra parte più antica del cervello risiede un agglomerato di nuclei nervosi denominato “amigdala”. Questa piccola parte, delle dimensioni di un cecio, gioca un ruolo chiave nella memorizzazione dei ricordi associati ad eventi emotivi, partecipa alla elaborazione della paura e della rabbia ed è coinvolta nei processi decisionali.

La funzione principale dell’amigdala è quella di proteggerci dai pericoli, scatenando stati di allarme e reazioni istintive spesso fuori dal controllo razionale.

È questa parte che ci fa fuggire davanti ad un incendio o ci blocca sul ciglio di un burrone.

Tuttavia, essa non ci protegge solo dai pericoli estremi, ma anche dalle sofferenze emotive. In quei casi infatti, prende il controllo e scatena comportamenti in qualche modo “involontari”.

Dietro alle invettive indirizzate ai runner (che correvano in solitudine) nei giorni passati, si cela quasi sempre l’innesco di una sofferenza emotiva dovuta alla consapevolezza di ricordarci inattivi.

La stessa sofferenza provata anche prima della quarantena, ma in qualche modo “tenuta a bada” dalla parte più razionale del cervello che non poteva certo legittimare le reazioni dell’amigdala.

La quarantena ha semplicemente fornito una sorta di “licenza”, alla parte più antica del cervello, per venire fuori e lenire in modo inconsapevole e con una ragione “legittima” la sofferenza, trasferendo la “colpa” a chi corre piuttosto che a chi sta fermo.

Testo a cura di Max Monaco, life, sport e motivational Coach, ultramaratoneta e collaboratore scientifico
dell’Università Roma 3. Fondatore e Amministratore di 6più.

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