Pronta a un nuovo rodeo. Sofia Goggia lo racconta con uno dei sorrisetti dei suoi, di quelli che un tempo, al suo fantasmagorico esordio sul pianeta dello sci, lei stessa chiamava mefistofelico. Reduce da una serata cowboy a Denver cavalcando il toro meccanico, un piccolo momento di stacco (dopo il blitz a Las Vegas per la Formula 1) al termine di un mese «lungo come non mai» di allenamenti sulle nevi del Colorado, la bergamasca oggi (collegandosi per guardare Atalanta-Real Madrid, big match di Champions) percorrerà le ultime cento miglia di questo anno da Ulisse per approdare a Beaver Creek, sulla Birds of Prey che le donne scoprono in Coppa del Mondo. Da domani prove, sabato discesa, domenica superG. La sua terra, la sua isola felice.
Sofia, l’avevamo lasciata a ottobre ancora segnata per l’infortunio di febbraio, piena di incognite. Ora come sta?
«Bene, sto bene. Il piede è a posto, ma soprattutto la mia anima è a posto. Sono serena, ho ritrovato la gioia di sciare, quella che mi ha fatto vivere le mie giornate migliori da atleta. Dieci mesi sono stati lunghi, lunghissimi. Per la prima volta un infortunio mi ha tenuta lontana così tanto tempo dalle piste, ma soprattutto mi ha devastata mentalmente. La frattura era complicatissima, i dottori stessi non sapevano come avrebbero rimesso insieme tutti i pezzi. Ed ero in rampa di lancio, sciavo bene. Lo ammetto, venendo qui qualche remora c’era. Mi domandavo come avrei reagito nelle curve veloci, magari con poca luce. Se avessi alzato il piede. Invece no, infortunio dimenticato. Paradossalmente, a parte qualche trascurabile dolorino, è come se non fosse successo nulla, come se togliendo quella placca a settembre mi fossi riappropriata della ragazza che ero prima».
È già così in forma?
«Alti e bassi, specie all’inizio, ma la confidenza con la velocità è rimasta. La verità è che ho così pochi giorni di sci, dopo aver saltato il finale della passata stagione e la preparazione estiva di questa, quindi non posso esprimermi. Ma non è neppure quello il punto. Dopo i primi giorni su pendii facili e corti, appena abbiamo allungato i tracciati e su pezzi più difficili ho ritrovato la velocità, la cosa che mi esalta. E mi sono sbloccata. Sapete che tecnicamente non sono proprio un esempio, ma quando c’è da gestire la velocità è un’altra cosa. Sono rimasta quella Sofia».
Non vediamo l’ora di vederla.
«Io nel frattempo non vedo l’ora di tifare per la Dea. Da me saranno le due del pomeriggio. Mi collego e tifo».
È l’anno buono per uno storico scudetto?
«Come dice Gasperini, vediamo dove saremo a cinque giornate dalla fine. Certo che nove vittorie di fila sono tanta roba. Gasperini è il top, riesce a tirare fuori il meglio da ciascuno e fare funzionare la squadra come un’orchestra. Ogni strumento suona bene e insieme la musica è pulita. E poi c’è il merito di Mattia Percassi, di una società sana, senza debiti. Anzi, in utile. A differenza di tante altre in Italia».
E il suo anno come sarà: la Coppa appena iniziata è un obiettivo? I Mondiali?
«Non penso né all’una né agli altri. L’ultima discesa che ho disputato è stata quella di Cortina a fine gennaio e devo ancora aprire il primo cancelletto e su una pista che nessuna conosce, ma soprattutto l’ultima cosa che penso sono i possibili scenari di Coppa o le gare di febbraio. Torno da un infortunio emotivamente e fisicamente pesantissimo, ho tante cose da pensare senza fare voli pindarici. Dico anch’io: vedremo come saremo a gennaio-febbraio. Vivo gara per gara, per prendere confidenza con il mio percorso».
Non cade anche lei nel banalismo del calcio?
(sorriso) «Sembra, ma è davvero così. Lo sento, lo vivo. Sono pronta a respirare di nuovo cosa significa aprire il cancelletto, di lanciarsi su una pista liscia da Coppa del Mondo, cercando solo di dare il meglio di me. Intanto dovrò accendere l’intelletto per capire una pista nuova. Dossi, pendenze, traiettorie. Sono serena e voglio esserlo per tutta la stagione».
Con meno velocità rispetto alle gare tecniche.
«Mah, vogliono anche recuperare i giganti canadesi quando il regolamento dice che non è obbligatorio... Le regole ci sono, poi vengono interpretate. Io mi concentro sulle mie gare. Tra discesa e superG ho 17 cartucce, non mi sembra male. E a gennaio tornerò anche in gigante. Non potete capire la mia felicità quando ho fatto qualche giro tra le porte dopo aver sognato tante notti quell’inforcata, il rimanere incastrata nella vite del palo e sentire che il piede non era più attaccato. Ho ritrovato sensazioni che avevo dimenticato e alla fine anche Rulfi (il capo allenatore dell’Italdonne, ndr) era contento di come sciavo. È rimasta intatta la bontà del lavoro tecnico intrapreso da due anni con il mio allenatore Agazzi».
In questo mese americano ha ritrovato la sua amica Vonn, che ha ufficialmente fatto i punti Fis per rigareggiare in Coppa. Come vive il suo ritorno?
«Sono molto felice per lei, perché sono che è tornata a fare quello che ama, quello che la rende felice. So che è l’unica sua molla, mentre dietro al ritorno di Hirscher, che purtroppo s’è fatto subito male, c’era un progetto di marketing per i suoi sci Van Deer. L’altra faccia della medaglia è che, proprio perché voglio bene a Lindsey, sono leggermente preoccupata. Facciamo uno sport pericoloso».
La morte di Matilde Lorenzi, il grave rischio passato dalla Shiffrin: si può fare qualcosa di più per la sicurezza?
«Sono due questioni diverse. Da una parte abbiamo una ragazza di Coppa Europa che ha avuto un terribile incidente in allenamento su una pista dove ci siamo sempre tutti allenati, dall’altra una campionessa che ha fatto un brutto volo in una gara di Coppa del Mondo. Su Matilde dico che la famiglia si sta impegnando con una Fondazione per sensibilizzare e migliorare la sicurezza a tutti i livelli. Sulla sicurezza in Coppa invece sappiamo tutti quanto sia uno sport pericoloso e bisogna muoversi in tal senso. La questione dell’airbag è ridicola. Hanno messo l’obbligatorietà ma lasciando deroghe per gli atleti che non lo trovano confortevole. Sinceramente penso che debbano mettersi il cuore in pace per trovare un accordo. E ben vengano le tute e altre protezioni anti-taglio che stanno sperimentando».