
Ha vinto tutto, ha vissuto tutto. Tranne l’oro mondiale. Sofia Goggia può porci rimedio questa settimana a Saalbach, in Austria. Giovedì in superG, sabato in discesa, chiudendo venerdì 14 nel gigante che le ha dato la prima medaglia, il bronzo di St.Moritz 2017. Ma Sofia è molto di più che un risultato e l’inseguimento di un risultato, un percorso sul quale ha molto da dire, raccontare. E lo fa. Leggera come è diventata, in pista e fuori. Senza mai tirarsi indietro.
Sofia, come va la spalla?
«Bene. La sublussazione che ho avuto in gara a Garmisch me la sono ridotta da sola al traguardo, poi tornata a casa ho lavorato in palestra per stabilizzarla. Devo tenerla sotto controllo, ma non operarmi. Quello no, basta ferri».
Allora sotto con i Mondiali e la domanda scontata che le faranno tutti: è l’unico successo che la manca…
«E io non ci penso, tanto meno penso che perché arrivano i Mondiali devo avere un atteggiamento diverso. Io sto bene, li affronto come una gara come altre, cercando di fare del mio meglio. Punto. Detto questo, il Mondiale non vedo l’ora di viverlo».
Quattro edizioni disputate, due saltate per infortunio: qual è il primo ricordo positivo che le viene in mente?
«La prima convocazione a 21 anni nel 2013. Arrivavo dalla Coppa Europa, all’ultimo mi chiamano per Schladming e con il pettorale 33 arrivo quarta nel superG dell’infortunio della Vonn. Era la mia prima gara di velocità sul palcoscenico delle grandi, non sapevo neppure cosa aspettarmi. Ricordo la serenità con la quale affrontai quella gara. Ecco, vorrei avere ancora, dodici anni dopo, lo stesso approccio, la stessa mentalità. La chiave è mantenere la parte fanciullesca dentro di se stessi per vivere con la stessa energia una cosa che vai da molto tempo, senza caricarsi dell’essere adulti».
Come si fa?
«Non è facile, ma arrivo da un anno che per sei o sette mesi è stato davvero pesante, più mentalmente che fisicamente. L’ultimo infortunio mi ha dato un approccio diverso alle cose, molto più leggero. Sta funzionando, voglio preservarlo».
La leggerezza di vede anche nella sciata.
(sorride) «Forse perché ho perso qualche chiletto… Non è solo una questione tecnica, di un lavoro che ormai faccio a anni. La sciata rispecchia sempre il tuo carattere e il momento mentale in cui sei».
E il ricordo più negativo dei Mondiali qual è?
«Pensereste a quelli di Cortina 2021 saltati per un infortunio pochi giorni prima… No, chiaramente per me sono le due discese di St.Moritz 2017 e Meribel 2023. Stavo andando forte, era davanti a tutte, poi ho fatto due cavolate a poche porte dall’arrivo e addio oro e medaglie».
Sabato può riscattarsi, chi teme di più: le svizzera Gut e Suter o la rivale in casa Brignone o un colpo dell’amica Vonn?
«Le austriache. Non conosco la pista di Saalbach perché alle scorse finali di Coppa ero infortunata, ma dicono che sia per slittone, come loro. Possono vincere dieci ragazze, la differenza si farà con la decisione che ci si mette. Sarà un mix di tecnica, intelligenza, mentalità».
Nel caso potrebbe avere l’occasione Crans-Montana 2027: ci arriverà o si fermerà dopo le Olimpiadi di Milano Cortina 2026?
«E perché arrivare solo fino al 2027? Non capisco perché se fai quello che ami devi darti delle limitazioni. Non mi do delle scadenze, ma vivo giorno per giorno».
Vuole fare come Djokovic nel tennis e Hamilton nella F1?
«Difficile fare paragoni. Nole non ha mai avuto gravi infortuni, se non un menischello l’anno corso. Ho sono una macchina che non ha fatto troppi chilometri, ma che ha avuto tanti stop».
A proposito di tennis, l’Italia è tutta di Sinner e per Sinner.
«A me ha colpito sentirlo dire dopo aver rivinto lo Slam in Australia che il dolore per le sconfitte è più grande della gioia per le vittorie. Mi domando: perché parla di sconfitte lui che vince sempre? Scherzi a parte, ho vissuto la stessa cosa, ma dopo questo ultimo periodo molto duro ho acquisito una serenità che mi accompagna anche nella sconfitta. Che poi sconfitta tra virgolette. In una gara non andata bene. Ci riuscirà anche lui».
L’Italia però non ha gradito il no all’invito di Mattarella.
«Io ci sarei andata in… calesse. Jannik mi piace molto e capisco il no a Sanremo, ma a un invito del Quirinale per celebrare il tuo sport con i tuoi compagni di squadra si dice presente. Ad ogni modo non so quali siano le motivazioni per cui abbia dovuto rinunciare, quindi non mi metto in una posizione giudicante. E dico di più: al prossimo Slam tutti se ne saranno dimenticati. Come il no alle Olimpiadi. E vedrete che a Los Angeles 2028 ci sarà: è prima degli US Open, sul cemento. Gli servirà».
Tornando alla gestione di vittorie e sconfitte: un numero 1 come lui e lei come fa in un Paese dove tutto è enfatizzato?
«Il problema è culturale. Vittorie e sconfitte sono gli antipodi di un percorso sportivo che tutti gli atleti di alto livello devono affrontare e quindi devono imparare a gestirle. Non te lo insegnano. Il problema è che la struttura e la cultura dello sport italiano, ancora oggi molto dilettantistico, e per molti versi meno male che sia così, penso al volontariato per esempio, è un po’ retrograda. Negli Stati Uniti il percorso di un atleta è educato e costruito fin dall’inizio, specie nella gestione delle emozioni. E non penso solo agli atleti, ma anche agli allenatori. Psicologo per non dire psicoterapeuta dovrebbero accompagnare i ragazzi all’inizio, non noi atleti di alto livello in piena maturità».