Gianni Minà, gigante di narrazione e sempre innamorato

A Tuttosport i suoi racconti affascinavano la redazione. Sapeva incantare in qualsiasi modo e situazione: dal computer alla macchinetta del caffè

Ho conosciuto un gigante e l’ho fatto da stagista. A romanzarla, come storia, si rischia perfino di banalizzarla, perché il ricordo di Gianni Minà lo scrivo nella stanza dove l’ho visto la prima volta, io tremante ragazzo di bottega, nell’estate del 1997. Gli avevo dato del lei e lui mi aveva immediatamente ripreso: «Il direttore è un collega, devi darmi del tu». Prima lezione appresa deglutendo l’imbarazzo. Minà era già una leggenda all’epoca e l’idea di averlo come direttore era elettrizzante per chiunque, chi iniziava il mestiere era a rischio elettrochoc, anche perché Minà era esattamente come te lo aspettavi. Geniale narratore, affabulatore in qualsiasi situazione dalla tastiera del suo computer alla macchinetta del caffè, dove un aneddoto ci scappava sempre e, con naturalezza, senza vanità, spuntavano i più grandi personaggi della storia dello sport, girando l’orrido caffè nel bicchierino di carta. «Una volta Mennea mi aveva raccontato...». «E a quel punto Maradona...». E Muhammad Ali. E Jesse Owens... Oggi avremmo messo una videocamera, alle macchinette, per riprendere quei cinque minuti di pausa con racconto compreso nel prezzo, ne uscirebbe un format micidiale per i social. Perché, quando le sai raccontare, le favole dello sport non hanno età e hanno un linguaggio universale, possono filare lisce in un pezzo di cento righe, come in un video su TikTok. Minà poteva viaggiare su qualsiasi binario, perché non era solamente un grande giornalista, ma uno dei più straordinari raccontatori di storie che il nostro Paese abbia mai avuto. La differenza, nel suo caso, la faceva l’amore, anzi l’innamoramento dei personaggi che conosceva e poi narrava. Come un innamorato riesce a dipingere l’oggetto del suo amore in modo sublime perché in modo sublime lo vedono i suoi occhi, così Minà si innamorava costantemente di qualcuno o qualcosa, finendo per far innamorare anche chi lo ascoltava.

E sì, esisteva la mitica agendina di Minà

E sì, esisteva l’agendina telefonica di Minà. Malconcia, fitta di scrittura e zeppa di numeri pazzeschi. Un giorno si era messo in testa che un determinato pezzo lo avrebbe scritto molto bene Osvaldo Soriano, lo scrittore argentino, aedo del calcio romantico. Pensavano volesse dire: bisogna scriverlo “alla Soriano”, non che lo potesse scrivere proprio Soriano. Lo aveva chiamato, glielo aveva commissionato e gli aveva anche intimato, come si fa con tutti i collaboratori di Tuttosport: «Mi raccomando, dallo presto!».

Gianni Minà, John Lennon, George Harrison e Paul McCartney

E poi c’era quella foto, quella meravigliosa foto. Lo ritraeva alla guida di una vecchia Fiat 500 in una strada di Roma. Lui sul sedile del guidatore, gli altri tre passeggeri in piedi sui sedili che spuntavano dal tettuccio apribile. Erano John Lennon, George Harrison e Paul McCartney. Mentre cercavo di trattenere la mascella inferiore in procinto di cascare di fronte a quell’immagine, mi ero sentito dire da lui: «Eh sì, spiace anche a me che sia incompleta, ma purtroppo Ringo non era voluto venire».

Perdiamo un gigante, ci resta una gigantesca eredità

Perdiamo un giornalista che ha attraversato il tempo e lo spazio, che ha vissuto ere differenti e ha viaggiato ovunque; che ha capito la realtà e l’ha saputa raccontare, anche quando l’ha trasformata in intrattenimento. E ha saputo anche compiere il processo inverso, trasformando l’intrattenimento in spiegazione dell’attualità, con le sue trasmissioni televisive nelle quali attori, musicisti, cantanti e artisti offrivano la loro lettura del mondo. Perdiamo un gigante, ci resta una gigantesca eredità.

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