L'incredibile proposta: "Un sindacato per gli influencer"

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L'incredibile proposta: "Un sindacato per gli influencer"

Un sindacato per gli influencer, sulla stessa falsariga di quanto avviene negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni dove, dal 2020, l'American Influencer Council e The Creator Union hanno riempito un vuoto regolamentare nella professione: è la proposta lanciata da Mafalda De Simone, star dei social con 177mila follower, accolta con piacere da numerosi più o meno illustri colleghi: "È un errore pensare di far tutto da soli. Bisogna proteggersi, avere alle spalle qualcuno che ti preceda e tratti per te con le aziende. In Italia è difficile che quello degli influencer venga considerato un lavoro: dai 50.000 follower in poi, trattare da soli non conviene, meglio rivolgersi a un'agenzia. E poi attenzione: si può guadagnare bene, ma si può perdere altrettanto velocemente il consenso", racconta Paola Di Benedetto, fidanzata di Federico Rossi del duo Benji e Fede. Yuri Gordon afferma invece che fare il lipo solitario "è molto rischioso perché appena arrivano i soldi il mondo intorno a te si popola di squali. Senza la persona giusta accanto non solo si rischia di non saper chiudere i contratti, ma anche di veicolare, senza volerlo, contenuti non appropriati o offensivi. E dalla shitstorm alla denuncia è un attimo. Bisogna stare attenti, perché l'ambiente è anche pieno di sfruttatori, interessati a spremere il fenomeno senza preoccuparsi del futuro".

Sindacato per influencer: il pensiero di Martina, Tasnim e Camilla

Per Martina Chiella si tratta di "una proposta intelligente. Spesso il nostro lavoro è visto come un hobby. Le stesse aziende non hanno capito che con le cose che ci regalano non ci paghiamo il mutuo di casa. Il regalo non è un pagamento: la tavola non la apparecchio con le borse e con le creme". D'accordo anche Tasnim Alì: "La proposta di un sindacato può venire in aiuto di chi ha meno follower, e magari si trova a navigare in questo mondo senza un'agenzia. Ma mettere insieme a livello associativo le diverse realtà è complicato, perché chi ha 60.000 follower non vale per le aziende quanto chi ne ha un milione. Su una cosa però sono d'accordo: questa è una professione che farebbe impazzire qualsiasi commercialista". Camilla Sentuti riconosce che l'esperienza sindacale inglese ed americana "fa la differenza. Io ho vissuto 8 anni a New York e ho iniziato a fare questo lavoro negli Stati Uniti. Là i budget per le collaborazioni sono più alti e le aziende sanno che dietro a una foto ben riuscita spesso non c'è il cellulare di un amica o di un fidanzato, ma un fotografo professionista, delle luci e una location. Il contenuto di livello ha un costo".

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