L'intervista a Nicolò Melli
Melli, anche lei scrittore. Com’è nata l’idea? Lei ha lanciato pure la sfida (scherzosa) social per vendere una copia in più di Datome.
«Mi hanno proposto di farlo. Fosse stato su di me mi sarei rifiutato categoricamente, non ritengo di avere elementi da narrare. È nata l’idea di scrivere un libro per ragazzi, ma sapendo che Gigi aveva fatto fumetto, sono partito dal presupposto che dovesse essere qualcosa di diverso rispetto al suo. È vero che ci mettono sempre vicini, vista l’amicizia, ma seguirlo proprio... È un libro più scritto. Volevo trasmettere valori come amicizia, lealtà, tenacia, coesione. Importanti nella pallacanestro, nello sport. Soprattutto volevo cercare di mandare un messaggio positivo, raccontare una storia con un lieto fine. Siamo circondati da cattive notizie. Siccome dovevo essere parte della storia, ho cercato di evitare scene di mitomania. Sono una persona normale».
Tornato a Istanbul, sempre nella stessa zona del periodo 2017-19?
«Ho cambiato un po’ la zona, all’epoca eravamo in due, fra poco saremo in quattro, a fine anno nascerà la seconda figlia. Abbiamo necessità diverse, la prima andrà all’asilo, ci saranno tanti nonni e nonne intorno. Ma la squadra è la stessa, i colori sono gli stessi, vissuto già provato».
Medesima squadra, compagni diversi. Quanti rimasti da quegli anni?
«Due, il capitano, Mahmutoglu e Guduric. Anche l’allenatore è cambiato, ora c’è Jasikevicius. Ma secondo preparatore atletico, tutto l’ufficio sono rimasti. Tanti volti conosciuti e mi piace, ho avuto ottimi rapporti con tutti».
Il Fener è tra le società che hanno fatto grandi spese: Baldwin, Birch, Colson, Hall, lei e Marjanovic. I top club di Eurolega anche. E sono tornati 11 europei dalla Nba.
«Sui ritorni incidono un paio di fattori: il primo è che in Nba si sono allungati i roster di 2-3 giocatori. O hai un ruolo ben definito o rischi di non giocare. E anche in Eurolega sono aumentati gli slot, tutte le squadre giocano circa 90 partite all’anno quindi molti club hanno roster a 16 per arrivare in fondo. Si stanno spendendo tanti soldi, dunque per quei giocatori il divario con gli stipendi Nba si è un po’ assottigliato e prevale la voglia di giocare, vincere. L’Eurolega, di più alto livello ha attrattiva».
Panathinaikos, Olympiacos, Real, Barcellona, Fenerbahce ed Efes hanno allargato la forbice rispetto sulle altre?
«Secondo me tante squadre possono arrivare in fondo, tutte salvo 3-4. E il Panathinaikos della scorsa stagione ha dato una lezione, in gennaio nessuno avrebbe immaginato i greci alzare la coppa. Adesso è molto presto per fare previsioni, ma sulla carta molte squadre si sono rinforzate. Anche la regular season offre lezioni. Il Real Madrid ha giocato una stagione spaziale, poi non ha vinto. E fra due-tre anni nessuno ricorderà la stagione madrilena».
Con Marjanovic, Sanli e Birch lei gioca finalmente nel suo ruolo: ala grande, cioè numero 4.
«La storia di numero 4 o 5 non mi ha mai appassionato. Non è questione di ruolo, quanto di quello che mi si chiede. E io faccio quello che c’è da fare»
L’Italia e il campionato visti da lontano.
«L’Italia per è casa, sempre. Nel basket ci sono sempre due squadre favorite all’inizio, ma mi pare ci sia più competizione. E magari meno divario degli anni scorsi tra prime e ultime. Sono tutte un po’ più attrezzate».
Ora al Fenerbahce, sarà meno facile per lei esserci nelle finestre di qualificazione che servono per ripartire dopo la delusione preolimpica.
«Non posso dire niente ancora, però per la Nazionale io ci sono sempre. Sicuramente siamo dispiaciuti per il risultato dell’estate. Ma Portorico ha meritato, è stata più brava di noi e della Lituania. Abbiamo due finestre, speriamo di qualificarci per gli Europei, di ritrovare il vecchio assetto e che Fontecchio sia in forma per l’estate. Non so che intenzioni abbia Poz a livello di organico. Bisogna ritrovare un po’ di entusiasmo che un po’ la passata stagione è mancato. Gli anni precedenti sono stati speciali. Senza la coesione entusiasta perdiamo un po’ la magia per noi fondamentale visto che dobbiamo sempre compensare limiti di taglia e di atletismo».
Si definisca in due aggettivi, in campo e fuori.
«Generoso, in campo. Onesto, fuori».
Il più forte giocatore di Eurolega.
«Potrei dire Vezenkov, ma preferisco citare il giocatore che più sposta gli equilibri: Tavares».
Con il Nil (Name Image Likeness, cioè l’immagine) i college Ncaa ora possono pagare tanto i giovani. Due dei migliori europei - Jakucionis e Egor Demin, ma anche Ruben Prey - sono volati in Usa ad almeno 500mila dollari. È solo l’inizio. L’Europa deve cambiare strategie.
«Ragionare tutti nel proprio orticello, sia che si parli di nazionalismi sia si riferisca al proprio tornaconto, è inutile. Che si voglia o no, il cambiamento arriva: o si trova il modo di adeguarsi, o si viene superati e surclassati. Io sono il primo a voler vincere, ma se un club pensa solo all’oggi fra cinque anni sarà fuori dai giochi. Certo, alcune cifre fanno impressione e faccio un discorso da vecchio. Ricordo il mio primo stipendio a 16 anni, la prima volta che ho prelevato al bancomat. E guadagnavo 15mila euro. Ora a 17 anni possono prendere 700mila euro, non facile da gestire. È una cosa che sta succedendo e va affrontata, meglio se in modo corale nonostante le diverse fiscalità. Del resto anche altri campionati crescono, Australia, Giappone».
Cosa si aspetta dagli italiani in Eurolega?
«Che facciano bene, ne gioverebbe tutto il movimento. Penso ai giovani: Procida, Spagnolo, Sarr che sono all’estero. Ma vale per tutti italiani».
E dalle due italiane di Eurolega?
«Entrambe si sono rafforzate. E secondo me sono tra le squadre che possono andare fino in fondo».