Covid-19: la NBA dà una lezione a tutti: organizzazione e responsabilità. Ecco come hanno fatto

Il basket Usa ha programmato la ripartenza con la consapevolezza che non può esistere il rischio zero e i giocatori sono disponibili ad assumersi la responsabilità. E la forza della Lega è il potere dato al Commissioner che decide per i presidenti, azzerando la litigiosità
Covid-19: la NBA dà una lezione a tutti: organizzazione e responsabilità. Ecco come hanno fatto© EPA

TORINO - Nel mondo della NBA tutto sembra più facile e - attenzione - può essere sconfortante studiare il caso del basket USA da qui, in mezzo al caos in cui verte il calcio italiano, che spesso cita la lega americana come punto di riferimento (che fa fine e non impegna). Le chiavi per ripartire nella NBA sono due: senso di responsabilità e consapevolezza che il bene comune contribuisce inevitabilmente il bene dei singoli. E già qui si ride pensando al nostro pallone.

LE MOSSE DELLA LEGA - La NBA ha reagito al Covid-19 in tempi rapidi. Tutto fermo al primo positivo, a metà marzo. Lo sgomento è durato poco, perché il 17 aprile la Lega e la Players Union (il sindacato giocatori) firmano l'accordo per decurtare del 25% gli stipendi a partire dal 15 maggio. L'accordo assomiglia a quello che ha trovato la Juventus, singolarmente, con i suoi giocatori: se la regular season venisse cancellata, ripartendo direttamente dai play-off, il taglio sarebbe del 40% e potrebbe toccare il miliardo di dollari nel caso fosse cancellata del tutto. Messo in sicurezza economica il sistema, con grande senso di responsabilità degli attori principali, il meccanismo ha provato a trovare un modo per tornare in campo.

IL RISCHIO E' DEI GIOCATORI - Il concetto da cui si è partiti è che non può esistere il rischio zero. E che, quindi, tutto dipende dai giocatori che devono assumerselo da iperprofessionisti e iperpagati. Ognuno scende in campo consapevole e scaricando chiunque dalla responsabilità di un eventuale contagio, trattato sostanzialmente come un infortunio.


I BIG IN VIDEOCONFERENZA - Così un bel giorno, i giocatori più importanti e rappresentativi si sono ritrovati in videoconferenza e hanno discusso l'argomento. C'erano Lebron James, Stephen Curry, Chris Paul, Anthony Davis, Kevin Durant, Giannis Antekounmpo, Kawhi Leonard, Damian Lillard e Russel Westbrook. Una specie di All Star Game ma senza pallone. E da quella riunione sono emersi molti dei punti tecnici del loro protocollo che quindi non è stato imposto dall'alto, ma è nato da una concertazione in cui i protagonisti sono stati coinvolti ai massimi livelli (e il sindacato giocatori ha, oltretutto, raccolto il voto di ogni singolo membro sulla ripartenza).


LE DECISIONI - Così adesso è tutto in discesa. Molto probabilmente si giocherà in due o tre arene e non in tutte le 19, per limitare i viaggi e per organizzarle in modalità antivirus (si parla di Las Vegas per la West Conference e Orlando per la East) come possibili location (già usate per la Summer League estiva). Ma ovviamente il nocciolo per la sicurezza di tutti saranno i tamponi: la NBA potrebbe utilizzarne (e pagare ovviamente) circa 15mila per finire la stagione, un numero notevole, che - fanno sapere Lega e giocatori - non deve essere sottratto dalla disponibilità di persone che ne hanno più bisogno. Un concetto, quest'ultimo, un po' vago (non si sa infatti quanti tamponi esistono e quindi come si possa stabilire che non siano sottratti alla collettività), ma che dà una verniciatina etica sempre apprezzata in un Paese dove la buona fede è un valore fondante.


MORALE - Risultato finale: la NBA è pronta a ripartire, a fabbricare lo spettacolo che un miliardo e mezzo di persone seguono in tutto il mondo e a produrre ricchezza (non solo per i giocatori). Chi ci guadagna? Tutti: la Lega, i giocatori, i proprietari, gli spettatori. Chi ci perde? Nessuno. Chi rischia? Quelli che guadagnano di più (i giocatori), ma in misura sostanzialmente risibile. E' stato difficile? Giudicando da fuori no, poi forse non è andata così liscia, ma una cosa è certa: ragionare come Lega e non come singoli club è l'unica strada per evitare patetici teatrini. Inoltre ciò che emerge dall'esempio americano è anche il senso di responsabilità dei giocatori che sono stati subito protagonisti organizzati del dibattito. Certo la NBA nasce su altre basi visto che c'è un commissioner pagato per decidere al posto dei proprietari. E avere un solo interlocutore è l'arma finale per risolvere le questioni (anche a livello politico: il Governo americano infatti recepisce ed esegue). Quali presidenti italiani abdicherebbero al protagonismo, nonostante quella rinuncia garantirebbe loro più soldi e organizzazione?

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