Cos’è il basket per lei?
"Tutto, ne guardo forse troppo, di continuo, studio il gioco, gli avversari, sono il figlio di un coach, sono cresciuto nel basket. Lo guardavo giocare, poi allenare, mi parlava di basket".
Anche lei diventerà coach, dunque?
"Vedremo, forse di sicuro vorrei restare in questo mondo".
Lei ha avuto un avvio difficile, al college, le dicevano che non era di alto livello. È sceso di division, poi ha trovato la sua strada a Jacksonville.
"Devo tutto a mio papà, è stato lui a incoraggiarmi di continuo, a dirmi di non mollare, a credere nelle mie possibilità. Mi ripeteva che non era finita. Mi ritengo fortunato".
Tra le sue tante qualità di giocatore versatile, cosa sceglie?
"Passare la palla, un extra passaggio mi esalta. È una qualità condivisa da tanti qui, nessuno è affezionato alla palla, abbiamo tanti giochi. È speciale. E anche questo lo devo a papà. Specialmente nella mia posizione è fondamentale".