“Alcione, la terza squadra di Milano che sogna di giocare a San Siro”

Giulio Gallazzi: "Per noi la stella sarà la promozione nei professionisti, poi punteremo alla B. Presto in campo all’Arena. Se lasciano il Meazza, ci siamo"
“Alcione, la terza squadra di Milano che sogna di giocare a San Siro”
È il club dei due presidenti, l’Alcione: Marcello Montini lo è del club, mentre Giullio Gallazzi - in gioventù capitano della nazionale italiana di Football Americano - guida la holding GM Sport Ventures a cui fa capo la società. Ma soprattutto l’Alcione - prima nel Girone A di Serie D - ha saputo imporsi come il terzo club di Milano: ha solide fondamenta e due grandi sponsor: Zte che ha creduto nel progetto Orange da anni (il colosso delle telecomunicazioni cinesi compare infatti sulle maglie fino all’Under 17), mentre la prima squadra e la Under 19 godono del patrocinio di Banca del Fucino di cui sempre Gallazzi è fra i maggiori azionisti. Il quale, dopo aver tentato la scalata al Genoa, ha accettato questa sfida unica e affascinante. 
 
Gallazzi, perché l’Alcione? 
«Qualche anno fa valutai l’acquisizione del Genoa ma, avendo visioni diverse sulla valutazione del club da parte della loro proprietà, mi ritirai da quell’operazione. Dopodiché valutai un altro paio di situazioni tra Serie A e Serie B che però avevano una logica diversa, ovvero erano club già importanti ed erano affari altrettanto importanti sotto il profilo economico. Poi Marcello Montini, un mio caro amico che all’epoca era appena entrato nell’Alcione come sponsor, mi ha proposto di far diventare questo club a tutti gli effetti la terza squadra professionistica di Milano. Quindi siamo partiti con questo sogno, ovvero prendere una società da sempre conosciuta per la bontà del lavoro fatto nel settore giovanile che però giocava in Promozione, e portarla in pochi anni alla Serie C. Una volta entrati, abbiamo strutturato l’Alcione in modo che fosse adatta a fare questo percorso, abbiamo vinto l’Eccellenza e i Playoff di Serie D, però - per ragioni legate allo stadio che non avevamo - abbiamo rimandato l’obiettivo a quest’anno, mettendoci ancora più risorse ed energie». 
 
E i risultati si sono visti... 
«Già perché siamo primi in classifica e, soprattutto, in collaborazione con l’Inter, abbiamo fatto i lavori necessari all’Arena: loro l’hanno inaugurata con il derby femminile, noi lo faremo nelle prossime settimane. Una volta conquistata la promozione diretta, completeremo tutti i lavori per ottenere le autorizzazioni necessarie per svolgerci il campionato di Serie C».  
 
Anche a Londra convivono più società calcistiche professionistiche: è un modello che può attecchire anche da noi? 
«Noi siamo convinti che ci sia spazio per tutti perché a Milano c’è da sempre interesse per le eccellenze. L’Alcione, inoltre, è diversa da Inter e Milan perché non può contare su decine di migliaia di tifosi. Deve invece essere una società capitalizzata, come lo è, con una forza imprenditoriale propria e indipendente rispetto a quello che può essere il riscontro immediato, per poter negli anni acquisire un proprio seguito. Noi puntiamo a un target giovane, a liceali, universitari, alla rete allargata dei giocatori stessi e delle loro famiglie, ben sapendo che se uno tifa Alcione può essere tranquillamente tifoso di Inter o Milan: noi non ci proponiamo come alternativa a loro, ma vogliamo offrire un prodotto diverso. L’anno scorso, per esempio, siamo stati premiati come i più giovani vincitori dei playoff di Serie D, avendo i nostri giocatori un’età media sotto i 23 anni. Questo perché l’Alcione si fonda su una cantera fortissima: i ragazzi entrano da noi a sei anni ed escono professionisti». 

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Rovella, in tal senso, è un po’ il vostro Sinner. 
«È l’ultimo gioiello uscito dal nostro settore giovanile ed è rimasto legatissimo a noi tanto che, quando può, viene a Milano a vedere le nostre partite. Sicuramente lui rappresenta un modello di ispirazione: un ragazzo giovane, pulito, che ha caratteristiche importanti anche a livello di qualità personale che rappresentano il modello di crescita dei nostri “alcioniani”. Noi abbiamo anche creato un brand che si chiama “Orange Generation” che tutti i ragazzi portano sulle divise proprio per esprimere un modo di essere, ovvero la volontà di diventare grandi giocatori ma pure uomini con valori che hanno determinate caratteristiche».  
 
Perché avete utilizzato come motto “Brotherhood”, fratellanza? 
«Un ragazzo che gioca in Alcione trascorre tanto tempo con i compagni di squadra e nasce quindi un modo diverso di stare insieme basato sull’aiutarsi a vicenda, consigliarsi, sostenersi. Noi diciamo ai nostri ragazzi che deve renderci orgogliosi la stima degli avversari. Altro motto che usiamo è “commitment to excellence” legato alla voglia di volerci sempre migliorare e all’intenzione di vincere sempre pulito, senza scorciatoie. Noi abbiamo un altro motivo di orgoglio: siamo tra i pochi a fare un’attività di tutoraggio anche nello studio dei nostri ragazzi, il concetto che vogliamo far passare è quello che si può diventare buoni giocatori diventado nel frattempo persone istruite, quindi capaci di avere un’alternativa nella vita, questo perché noi per primi sappiamo che su sessantamila ragazzi che partono, solo uno arriva in Serie A. Noi investiamo tanto sul fatto di creare ragazzi competitivi non soltanto nel calcio ma pure nella vita».  
 
Tra la sede dell’Alcione in via Olivieri e San Siro ci sono due chilometri: nel caso in cui Milan e Inter o una delle due squadre dovesse lasciarlo, potrebbe diventare la vostra nuova casa? 
«Beh, sicuramente. Ovvio che non dipenda solo da noi, ma una città come Milano non può non avere sedi adeguate per le eccellenze del proprio sport. Noi abbiamo messo mano a un progetto per rendere agibile l’Arena ma è chiaro che se San Siro dovesse rimanere lì, una riflessione si imporrebbe sul come sfruttare quello stadio leggendario».  
 
I vostri progetti si fermano alla Serie C? 
«No: la Lega Pro è solo il primo passo. Lo sport professionistico si fa per vincere e una volta arrivati in C verrà abbastanza naturale parlare di Serie B. Dovremo quindi fare un passo ulteriore per strutturarci, ma quello diventerà il nuovo obiettivo». 
 
Intanto c’è un campionato da vincere: riuscirci sarebbe un po’ come la seconda stella per Milan e Inter? 
«Per noi sarebbe la prima grande stella, quella dell’ingresso tra i professionisti. Ma questo, come detto, dovrà essere solo un punto di partenza». 

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È il club dei due presidenti, l’Alcione: Marcello Montini lo è del club, mentre Giullio Gallazzi - in gioventù capitano della nazionale italiana di Football Americano - guida la holding GM Sport Ventures a cui fa capo la società. Ma soprattutto l’Alcione - prima nel Girone A di Serie D - ha saputo imporsi come il terzo club di Milano: ha solide fondamenta e due grandi sponsor: Zte che ha creduto nel progetto Orange da anni (il colosso delle telecomunicazioni cinesi compare infatti sulle maglie fino all’Under 17), mentre la prima squadra e la Under 19 godono del patrocinio di Banca del Fucino di cui sempre Gallazzi è fra i maggiori azionisti. Il quale, dopo aver tentato la scalata al Genoa, ha accettato questa sfida unica e affascinante. 
 
Gallazzi, perché l’Alcione? 
«Qualche anno fa valutai l’acquisizione del Genoa ma, avendo visioni diverse sulla valutazione del club da parte della loro proprietà, mi ritirai da quell’operazione. Dopodiché valutai un altro paio di situazioni tra Serie A e Serie B che però avevano una logica diversa, ovvero erano club già importanti ed erano affari altrettanto importanti sotto il profilo economico. Poi Marcello Montini, un mio caro amico che all’epoca era appena entrato nell’Alcione come sponsor, mi ha proposto di far diventare questo club a tutti gli effetti la terza squadra professionistica di Milano. Quindi siamo partiti con questo sogno, ovvero prendere una società da sempre conosciuta per la bontà del lavoro fatto nel settore giovanile che però giocava in Promozione, e portarla in pochi anni alla Serie C. Una volta entrati, abbiamo strutturato l’Alcione in modo che fosse adatta a fare questo percorso, abbiamo vinto l’Eccellenza e i Playoff di Serie D, però - per ragioni legate allo stadio che non avevamo - abbiamo rimandato l’obiettivo a quest’anno, mettendoci ancora più risorse ed energie». 
 
E i risultati si sono visti... 
«Già perché siamo primi in classifica e, soprattutto, in collaborazione con l’Inter, abbiamo fatto i lavori necessari all’Arena: loro l’hanno inaugurata con il derby femminile, noi lo faremo nelle prossime settimane. Una volta conquistata la promozione diretta, completeremo tutti i lavori per ottenere le autorizzazioni necessarie per svolgerci il campionato di Serie C».  
 
Anche a Londra convivono più società calcistiche professionistiche: è un modello che può attecchire anche da noi? 
«Noi siamo convinti che ci sia spazio per tutti perché a Milano c’è da sempre interesse per le eccellenze. L’Alcione, inoltre, è diversa da Inter e Milan perché non può contare su decine di migliaia di tifosi. Deve invece essere una società capitalizzata, come lo è, con una forza imprenditoriale propria e indipendente rispetto a quello che può essere il riscontro immediato, per poter negli anni acquisire un proprio seguito. Noi puntiamo a un target giovane, a liceali, universitari, alla rete allargata dei giocatori stessi e delle loro famiglie, ben sapendo che se uno tifa Alcione può essere tranquillamente tifoso di Inter o Milan: noi non ci proponiamo come alternativa a loro, ma vogliamo offrire un prodotto diverso. L’anno scorso, per esempio, siamo stati premiati come i più giovani vincitori dei playoff di Serie D, avendo i nostri giocatori un’età media sotto i 23 anni. Questo perché l’Alcione si fonda su una cantera fortissima: i ragazzi entrano da noi a sei anni ed escono professionisti». 

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