Il calcio visto con gli occhi di Carlo Pesce. "L'Alpignano è una famiglia"

Il direttore sportivo degli U19 regionali e della prima squadra dell'Alpignano è intervenuto ai nostri microfoni, snocciolando qualche piccolo segreto del suo operato
Il calcio visto con gli occhi di Carlo Pesce. "L'Alpignano è una famiglia"
Coppola in testa, giaccone della società indossato con l’eleganza di uno smoking, e uno sguardo di chi nel calcio ne ha viste tante, forse troppe.
Stiamo parlando di un decano dello sport piemontese, un’autentica autorità che fra poco festeggerà 50 candeline sul campo, nelle vesti prima di allenatore e poi di dirigente.
Lui è la “Vecchia roccia”, come qualcuno presso gli addetti ai lavori lo chiama scherzosamente, alias Carlo Pesce. Classe ’54, una vita nei settori giovanili sabaudi già dai primi anni ’70, tanti giocatori formati alcuni dei quali sbarcati nel calcio che conta, quello di professione.
Da più di una decade a questa parte nelle vesti di responsabile, sta mettendo a disposizione dell’Alpignano - nell’attuale stagione - tutto il suo grande bagaglio di esperienza e maturità, rivestendo il ruolo-chiave di direttore sportivo. I successi, così come quando sedeva in panchina, non sono tardati a mancare, come testimoniano le ultime grandi stagioni del suo club. «Sì, a breve festeggerò mezzo secolo d’attività - confessa col sorriso sornione Pesce, iniziando l’intervista con una breve digressione nostalgica - nella mia carriera ho visto di tutto, ma ho avuto la fortuna di vivere il calcio che piaceva a me, quello dei cortili e degli oratori, quando c’erano pochi mezzi a disposizione e dovevi per forza destreggiarti in un campo pieno di buche se volevi controllare la sfera, paradossalmente aumentando così il tasso tecnico. Quando iniziai al Pertusa, ricordo, portavo i bambini sulla mia macchina… era un altro calcio», il malinconico ricordo del diesse.
Dopo le avvincenti stagioni alla Lascaris, lo sbarco sulle sponde del Dora Riparia dopo la pandemia per rivivere emozioni forti. Continua il direttore: «Qui ad Alpignano mi trovo benissimo, il nostro motto “We are a family" (siamo una famiglia, ndr) non è scelto casualmente. E propio per questo ho seguito il mio amico Omar Cerutti in questa avventura. Poi l’ambiente mi piace da morire. Dalla scuola calcio coordinata da Cristian Bellanova a tutto il settore giovanile siamo un club davvero competitivo.
L’anno scorso abbiamo portato cinque squadre su cinque alle finali regionali». E, a proposito di giovanili, il suo commento sulla stagione attuale vissuta dalla seconda squadra del club, la Juniores, in lotta per il vertice della classifica. «Puntiamo ad arrivare nelle prime quattro per fare la Coppa Piemonte.  Ne ho già vinta una con i ’98 del Lascaris. Ma sono fiducioso anche per la prima piazza, l’anno scorso abbiamo vinto il campionato nonostante avessimo 7-8 punti di ritardo dalla prima in questo stesso periodo dell’anno, facendo una grande rimonta».
Ma l’obiettivo di un dirigente così navigato non è solo quello di rincorrere trofei, come testimoniato da questo passaggio. «Se si vince un campionato l’anno dopo non se lo ricorda più nessuno, ma se ci sono giocatori che esordiscono in Eccellenza - e noi ne abbiamo diversi tra 2004 e 2005 -, quella diventa una mia vittoria. Anche perché chiamare gente da fuori è difficile, spara cifre senza senso. Preferisco coltivarli nella nostra “cantera”. Inoltre ho un grande team manager, Francesco Spagnolo, che mi sta dando una mano in questa sessione di calciomercato, nonostante le difficoltà riscontrate per non sforare il budget.
Qualche innesto lo apporteremo anche negli U19. Un lavoro di équipe importante, il nostro, puntare sui giovani è la priorità. Non a caso tra allenatore della prima squadra (Roberto Berta) e quello della juniores (Raffaele Lapiccirella) c’è una grande sinergia».
Carlo Pesce, mentore del calcio piemontese, si congeda così: «Ora i campi sono tutti in sintetico e i bambini hanno scarpe da 150 euro, ma vuoi mettere con la passione di quando si rincorreva il pallone per le strade?».

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