Boateng: «Razzismo? Fermarsi in campo è sbagliato»

L'attaccante del Barcellona è tornato sui casi di discriminazione razziale: «Se chiudiamo gli stadi vincono gli altri. Milan? Lì sono diventato uomo»
Boateng: «Razzismo? Fermarsi in campo è sbagliato»© Getty Images

TORINO - «Certamente si possono fare tante cose, io penso che l'ultima cosa che debba fare un giocatore è fermarsi. Io l'ho fatto dalla rabbia e dall'emozione. Però, non dobbiamo arrivare a questo perché siamo esempi e idoli per i bambini e non può essere un esempio per un bambino fermare il gioco quando a te non piace una cosa». Kevin-Prince Boateng, che nel gennaio 2013 lasciò il campo come reazione ai cori discriminatori dei tifosi della Pro Patria, indica la via. Per il neo giocatore del Barcellona il razzismo è un problema che va affrontato con varie azioni, senza arrivare ad atti estremi. «Ci sono tante cose che possiamo migliorare come società, come calcio in generale - racconta a 'I Signori del Calcio', in onda domani alle 23.30 su Sky Sport Uno. Possiamo fare molto di più. Se significa aiutare e dare segnali abbracciandosi ad ogni partita o ogni giorno lo dobbiamo fare. Chiudere lo stadio è una sconfitta per tutti perché se alla fine chiudi uno stadio hanno vinto gli altri». Boateng ammette che «senza calcio non sarei intelligente come lo sono oggi. Perché tutti pensano che la parola calcio voglia dire stare in campo o fare un gol o un colpo di tacco. Però, a me ha aiutato a diventare più intelligente, più aperto e imparare tante lingue. Il calcio è qualcosa di più di tirare in porta e fare gol. Dobbiamo sfruttare di più questa cosa, perché, come ho detto, tanti vedono il calcio come un modo per fare soldi velocemente e di diventare famoso».

MILAN E SASSUOLO - In Italia ha trovato la sua consacrazione al Milan, dove ha pure vinto uno scudeto: «Sono cresciuto e sono diventato un uomo al Milan perché giocavo con uomini, non giocavo più con ragazzi, lì giocavo con uomini veri. Questa idea di diventare uomo mi ha fatto sempre un po' paura. Perché pensavo che quando sarei diventato uomo avrei dovuto smettere di giocare e avrei dovuto trovare un lavoro. Lì mi ha aiutato a diventare uomo. Ci sono stati tanti giocatori che mi hanno mostrato come si fa a esserlo». La scorsa estate, invece, il ritorno in Italia col Sassuolo«È arrivata questa possibilità di lavorare con De Zerbi in una squadra conosciuta perché è una società molto, molto seria. Nella mia vita ho avuto tanti up e down, su e giù, per quello ho pensato di venire in una squadra e in una società tranquilla, che mi aiuta a stare un po' più tranquillo. Poi, certamente, volevo lavorare con De Zerbi».

(In collaborazione con Italpress)

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