Mino Favini, il maestro del calcio

Mino Favini, il maestro del calcio© aldo liverani

Il bello di Mino Favini era che quando cominciavi a parlare di calcio, lui aveva la capacità di fermare il tempo. Non perché fosse un affabulatore, nomea sempre rifuggita con il lessico saggio del vero Maestro di calcio. Il fatto è che, avendo perso il conto di tutti i calciatori da lui scoperti in quarant’anni, quando, alla rinfusa, gliene snocciolavi l’elenco, non si finiva mai: Borgonovo, Vierchowod, Matteoli, Fusi, Pari, Invernizzi, Centi, Galia, Morfeo, Pisani, Zambrotta, Filippo Inzaghi, Zaza, Montolivo, Pazzini, Donati, Conti, Caldara, Padoin, Tacchinardi, Gabbiadini, Rolando Bianchi, Baselli, Sportiello, Gagliardini, Bonaventura e tanti altri che qui non trovate per meri motivi di spazio. Mino amava essere e non apparire. Gli piaceva scoprire il talento, seguirlo passo passo nella sua crescita, umana e agonistica («Prima viene l’uomo, poi il calciatore. Educazione, rispetto, profitto scolastico. E voglio vedere la pagella: se non vai bene a scuola, non giochi nell’Atalanta»). Già, l’Atalanta, del cui vivaio è stato il custode e il mentore portandolo a livelli di assoluta eccellenza europea. E come dimenticare Mino per il Como e Mino per le Nazionali, popolate dai suoi ragazzi. L’ultima volta che ci siamo visti, a Meda, nella casa dove troneggia il pallone di cuoio, di quelli cuciti a mano, abbiamo trascorso le belle ore che si trascorrono solo con le belle persone: come Mino, come i due figli, la nuora e Beatrice, la nipote, che da grande vuole fare l’avvocata di diritto sportivo.

Se è vero che non bisogna aver paura di sbagliare un calcio di rigore perché non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, è altrettanto vero, Mino dixit, che «contano la tecnica, lo spirito di sacrificio, l’aspetto atletico. Ma, su tutto, conta l’educazione. A cominciare da alcune mamme. Sono terribili. Pretendono, litigano, criticano, convinte che i figli siano tutti dei Ronaldo incompresi. Ci vuole tanta pazienza». Il suo allievo prediletto è stato Prandelli. Il suo amore straordinario, l’Atalanta, seconda solo a Paola, amatissima compagna di vita nei cinquant’anni vissuti insieme, sino alla sua scomparsa, cinque anni fa. Mino non ha mai dimenticato qual è stata la prima cosa che Percassi ha fatto nel 2010, quando ha ricomprato la Dea: confermare Favini. («Uno come il presidente che investe 40 milioni di euro in sette anni nel settore giovanile, è unico»). Stimava molto Gasp, ricambiato, («Con lui, la Dea è in una botte di ferro»), mi disse un anno e mezzo fa. Mino aveva visto lungo. Come al solito.

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