Nela: "La battaglia contro il tumore continua, ma c'è qualcosa che non va"

L'ex difensore di Roma, Genoa e Napoli ha raccontato la sua malattia e le sue esperienze come calciatore e dirigente
Nela: "La battaglia contro il tumore continua, ma c'è qualcosa che non va"© LaPresse

ROMA - Sebino Nela è intervenuto questa mattina ai microfoni di Rai Radio2 durante la diretta del programma "I Lunatici", trasmesso dal lunedì al venerdì da mezzanotte alle 6 del mattino. L'ex difensore ha risposto ad alcune domande dei conduttori parlando del suo stato di salute, delle sue esperienze come calciatore e dirigente in Serie A e di quella volta che Antonello Venditti gli dedicò una canzone nella hall di un albergo.

Sullo stato di salute
"Come sto? La mia battaglia dura da otto anni, mancano dieci giorni alla mia quarta operazione chirurgica. Bisogna parlare di prevenzione. In tutti questi anni ho approfondito molto la cosa, partecipo a iniziative che riguardano questa malattia, questo cancro, che fa numeri terribili, ogni anno. Non ci sono altre strade rispetto alla prevenzione. La medicina è migliorata, ma l'unica vera arma che tutti noi abbiamo è la prevenzione. Noi maschietti abbiamo più paura rispetto alle donne di andare dal medico, tendiamo a rimandare sempre alla settimana prossima, non andiamo volentieri dai medici, mentre oggi anche con un semplice prelievo si possono capire molte cose. Non auguro a nessuno di fare tre anni di chemio, ci sono momenti in cui pensi di non poterne venire fuori. Tra dieci giorni affronterò la mia quarta operazione, dobbiamo fare un po' di pulizia, abbiamo trovato qualcosa che non va bene, c'è da ripulire un po'"

Sull'infortunio di Zaniolo in nazionale
"Bisogna distinguere tra la sua e la mia epoca. Oggi un infortunio al ginocchio è tutta un'altra cosa rispetto agli anni 80. Quasi sempre oggi dopo sei mesi torni a giocare partite ufficiali. Io sono stato fermo un anno, il ginocchio me l'hanno aperto da una parte all'altra, mi misero cinquanta punti. Alla mia epoca c'era davvero la paura di non poter tornare a giocare. Però cavolo, a quell'età, farsi due ginocchia, è pesante. Serve carattere. Sei mesi passano prima di un anno, io fui l'ultimo giocatore a portare il gesso, ma come detto una volta era diverso. I ragazzi oggi hanno tutto per stare bene e recuperare velocemente. Zaniolo non deve avere paura".

La canzone dedicata da Antonello Venditti
"Antonello scrisse per me 'Correndo, correndo'. Io ero in ritiro in Toscana con la Roma, ero stampellato, mi vennero a chiamare in camera, mi dissero di scendere perché c'era Venditti. Nella hall dell'albergo c'era un pianoforte, Venditti si è messo a suonare e mi ha fatto sentire la canzone che mi aveva scritto. Fu una cosa bella, molto emozionante".

Sulle sue esperienze al Genoa e al Napoli
"Mi ritengo fortunato, ne parlo anche nella mia biografia finita in questi giorni e scritta a quattro mani insieme a Giancarlo Dotto. Edita da Mondadori, decideranno loro quando farla uscire. Io ho giocato in tre piazze pazzesche. Genova è la mia città, io sono ligure, da bambino tifavo per il Genoa. Anche Napoli è stata una esperienza meravigliosa. Ho conosciuto il napoletano, la sua passione calcistica, l'amore verso la città e la squadra. Anche la mia famiglia si è trovata benissimo a Napoli".

Sugli anni alla Roma
"Sono il calciatore che ha vinto di più in assoluto con la maglia della Roma. Uno scudetto, tre Coppa Italia e due finali europee, una di Coppa Campioni, una di Coppa Uefa. Eravamo una squadra fortissima, eravamo vent'anni avanti rispetto agli altri, giocavamo a zona, facevamo quello che fa oggi Guardiola e pochi altri. Forse si poteva vincere qualcosa di più. Il rimpianto è legato più a Roma-Lecce che a Roma Liverpool. Perché c'era la consapevolezza di incontrare il Liverpool più forte della storia, non eravamo preparati a livello internazionale, alla fine ci sta perdere ai rigori. Ma quello che ha dato veramente fastidio a tutti noi è stata la sconfitta con il Lecce. Il campionato era praticamente vinto, abbiamo rovinato tutto. L'addio alla Roma di Pallotta? Non mi sono salutato male, la società ha fatto una scelta, mi dispiace perché stavo facendo una cosa che mi piaceva molto, lavoravo insieme alle ragazze, nella Serie A femminile, in un mondo che sta avanzando a piccoli passi. Ormai il calcio femminile è una realtà. Mi sarebbe piaciuto continuare, ma le società fanno le loro valutazioni. Io non ho detto nulla, le mie figlie hanno avuto uno sfogo, mi spiace, ma l'hanno fatto perché sapevano quanto ci tenevo. Vedremo ora cosa succederà con la nuova proprietà. Mi pare siano partiti bene".

Su Di Bartolomei e Falcao
"Io e Falcao siamo sempre andati molto d'accordo, a me ha dato enormemente fastidio il fatto che lui non abbia tirato quel calcio di rigore in finale. Questa cosa non mi è mai andata giù. Dal giocatore più forte ci si aspetta che prenda l'iniziativa. Non era rigorista, ma i rigori li tirava e quello doveva tirarlo. Doveva essere il nostro giocatore più importante e carismatico e poi non tira il rigore in quel momento. Di Bartolomei invece per me era il Capitano. Non ci sono altre parole. Parlava poco, era introverso, ma era anche uno che amava ridere e scherzare. Ogni capitano dovrebbe essere come lui".

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