Paolo Rossi, parla la moglie: "Vivo con il suo sorriso"

Federica Cappelletti racconta il marito, il padre, l'uomo dietro il campione: "Vorrei fare un film sulla sua vita, con protagonista Favino e Servillo nella parte di Bearzot. Ho fatto un offerta a Juninho per la maglia azzurra numero 20"
Paolo Rossi, parla la moglie: "Vivo con il suo sorriso"

Buongiorno, Federica Cappelletti. Nonostante il contesto generale drammatico e quello suo personale, il tempo vola. Domenica saranno 40 giorni dalla scomparsa di suo marito, Paolo Rossi. Ha voglia di raccontare com’è nata la vostra storia d’amore che ha regalato due bambine con cui sta vivendo questi giorni così intensi e chi era Federica, 17 anni fa, capace di diventare il colpo di fulmine per il bomber più amato d’Italia?

"Ci siamo conosciuti grazie al mio lavoro di giornalista. Ho sempre avuto la passione per la scrittura per cui ho lavorato a lungo per la testata QN occupandomi di sanità. Ho girato diverse città per lavoro: andare e scoprire per raccontare mi accendeva. Ho avuto anche la fortuna di intervistare grandi personalità del secolo scorso. Dalla Montalcini alla Pivano, da Biagi e Bocca. Ricordo che quando andai a intervistare Margherita Hack stavo già con Paolo: andammo a casa sua, ma non volevo presentarmi come sua moglie. Per cui lo feci salire solo alla fine del nostro colloquio. Bene, non scorderò mai quanto fu divertente vederli parlare amabilmente della gravità e dello spazio prendendo spunto da come i ragni si muovono con leggerezza sulla propria tela. Fu un siparietto incredibile, andarono avanti a lungo a parlare appassionatamente di quel particolare".

Come e quando scoccò la scintilla tra voi?

"Io lo conobbi nel 2003 dopo qualcosa che avvenne due anni prima. L’11 settembre del 2001 ero in Portogallo per seguire la Juventus per uno speciale che dovevo realizzare. Vissi quindi quel giorno incredibile delle Torri Gemelle assieme a Del Piero, Buffon, Lippi e altri giocatori. Mi venne in seguito proposto di collaborare a un libro, 'Razza Juve', in cui si raccontavano 10 campioni bianconeri da un punto di vista umano. Mi venne poi chiesto di invitare Paolo Rossi alla presentazione del libro a Perugia. Lo chiamai e mi disse che non sarebbe potuto venire perché era impegnato. Dopo un po’ di tempo lo richiamai e feci leva sul fatto che tutta la tifoseria perugina sarebbe stata felice di riabbracciarlo perchè non era mai tornato. E infatti al mio secondo tentativo si convinse e disse 'Vengo'. Il problema fu che il giorno in cui lo aspettavamo, lui era a Sofia per una partita di beneficenza e c’era sciopero degli aerei. Riuscì comunque a prendere al volo un aereo per Verona, poi da Verona a Milano col taxi e quindi guidò lui la sua auto fino a Perugia. Arrivò con appena 20 minuti di ritardo! Non ci credevo quando apparve, fui così contenta per quanto aveva fatto per mantenere la parola che gli dissi 'dopo tutto ciò che hai fatto puoi chiedermi quello che vuoi'. Quel giorno in cui lo vidi per la prima volta rimasi colpita dal suo sorriso: mi entrò nell’anima in maniera prepotente e infatti da allora non è più uscito. Era il 23 ottobre del 2003. Dopo un po’ mi richiamò per sapere se saremmo andati a mangiare qualcosa insieme. Scattò quindi un qualcosa di forte in me e in lui che inizialmente cercammo di trattenere anche perché entrambi avevamo una situazione che stavamo vivendo. Poi però non siamo più stati in grado di arginare".

Lei ha preso due lauree e pensa a una terza. Come nasce la sua passione per lo studio e quanto aiuta sapere?

"A me piace molto studiare. Ho iniziato anche gli studi per la terza laurea in psicologia ma poi con le bambine ho dovuto accantonarla. Ma ho deciso che riprenderò e porterò a termine anche questi studi, a maggior ragione dopo ciò che ci è successo. E’ diventato uno dei miei prossimi obiettivi. Anche con le bambine sono molto severa, pretendo che si applichino molto, studiare e sapere è importante. Però voglio aggiungere un particolare: pur avendo io due lauree c’erano momenti in cui Paolo mi stupiva perché sapeva molto di più di cosa magari pensavo di conoscere io. Era una enciclopedia vivente, grazie alla sua curiosità abbinata a una memoria pazzesca che ha ereditato la prima figlia. Sapeva anche le cose più assurde. Se si parlava dei granelli di sabbia lui ne sapeva un pezzetto in più. Davvero sorprendente, come quella volta con Margherita Hack che andarono avanti a parlare per un’ora del ragno sulla tela!".

Quando Paolo diventò l’idolo indiscusso del Mondiale con la tripletta al Brasile lei aveva 10 anni. Se lo ricorda quel giorno?

"No, non ricordo nulla di quei giorni. Avevo una famiglia di tifosi, in primis mio papà che quando seppe anni dopo poi che mi ero fidanzata con Paolo impazzì di gioia. Anche i miei tre fratelli erano appassionati. Ricordo la grande euforia ma niente di più".

Vi è capitato invece, da sposati, di rivedere insieme quelle partite che hanno significato tanto per l’Italia e ovviamente anche per lui?

"Assolutamente sì. Anche perché ho sempre voluto che le bambine vedessero cosa loro papà aveva fatto in passato però guardando le immagini insieme a lui".

Quando si ha un passato ingombrante non è facile vivere il presente e proiettarsi nel futuro smarcandosi da emozioni così forti e invadenti. Paolo come riusciva a muoversi inquesto senso?

"In realtà Paolo non era così. Era consapevole di questo, ma lui diceva sempre che il passato era qualcosa su cui costruire altro, appunto il presente e poi il futuro. Guardava avanti".

Avete scritto due libri su quella splendida avventura. Scavando cosa ha scoperto che l’ha sorpresa?

"Uno l’abbiamo pubblicato nel 2013 '1982 - Il mio mitico Mondiale', in cui si citavano anche storie particolari degli italiani legate a quell’impresa. Un papà che lanciò in aria il bambino per la felicità e questi rimase impigliato nel lampadario! Mi colpì l’atteggiamento delle persone nei suoi confronti. A volte la gente ci fermava e lo ringraziava in maniera totale per le emozioni che aveva regalato: uno si mise in ginocchio davanti a lui. Nell’altro libro, invece, 'Quanto dura un attimo', Paolo si racconta a 360 gradi. Da quando era piccolino sino a poco tempo fa. Tra l’altro c’è il toccante incontro tra lui ed Enzo Bearzot nella casa dell’ex ct ad Auronzo di Cadore. Per me fu una grande emozione perchè io non avevo mai conosciuto questa persona di cui lui mi aveva parlato molto e che lui mi aveva dipinto come un secondo padre, come un uomo straordinario che gli cambiò la vita. Noi arrivammo e ci fu questo abbraccio fortissimo sull’uscio di casa sua. Fu come una confessione. Bearzot gli disse che aveva un tumore e Paolo rimase sconvolto dalla notizia. Poi col passare dei minuti vissero il piacere di ricordare i dettagli di quell’impresa".

Si stanno moltiplicando le iniziative per far sì che la figura di Paolo Rossi resti viva. Ce le racconta?

"Si stanno moltiplicando. Ogni giorno ricevo proposte per cose da fare in Italia e all’estero. Mi stanno proponendo di tutto. Ho deciso di ascoltare e poi decidere cosa fare insieme ai figli. Il Museo è uno degli obiettivi principali. Poi a breve si svolgerà una mostra a Prato con 100 opere d’arte su Paolo Rossi provenienti da tutto il mondo. E poi c’è un progetto per un film su di lui. Ho avuto proposte e ha un valore doppio visto che ne avevamo parlato già un paio d’anni fa con Paolo".

Avrebbe in mente un attore che potrebbe impersonare il protagonista?

"Non toccherebbe a me scegliere ovviamente ma alla Casa di produzione. Tutto da valutare, non saprei. Quando c’era ancora Paolo ne avevamo parlato con Favino ma lui potrebbe interpretare Paolo adulto. Ne avevamo parlato anche con Servillo. Lui potrebbe essere Bearzot. Ci tengo molto alla realizzazione di questa pellicola".

Il Museo avrà sede a Vicenza?

"Probabilmente sì, ma non è l’unica città che si è fatta avanti".

E’ vero che lei si sta muovendo per acquistare la maglia azzurra numero 20 che Paolo indossò il giorno in cui segnò i tre gol al Brasile?

"Sì, confermo. E’ di proprietà di Juninho, un giocatore della Seleçao di allora, che ho già contattato. Per me avrebbe un valore affettivo perché sarebbe come riportare a casa un pezzo di Paolo".

Questo mare d’affetto che l’Italia e non solo sta manifestando viene percepito dalle bambine?

"Assolutamente sì. Sono consapevoli e molto contente di questo fiume d’amore in piena che ci sta travolgendo in senso positivo e ci aiuta a sentire Paolo vivo. La mia terapia vera è tenerlo vivo, aiuta le bambine. Facciamo di tutto perché rimanga tra noi. La sera c’è il momento in cui vanno in un angolo, parlano con lui raccontandogli le cose che sono successe. Vorrei che non dimenticassero anche la sua voce, ascoltiamo dei vecchi messaggi in cui lui parla. Io persi mia mamma che avevo 24 anni e so cosa quindi cosa succede. Una cosa che mi manca è la sua voce che non ricordo più. Non vorrei succedesse lo stesso anche con le bimbe. Stiamo cercando di far sì che ciò che è avvenuto non sia una separazione ma una sorta di trasformazione. Devo dire che le bambine sono molto brave, a volte sono loro che mi caricano e mi dicono 'mamma, papà non lo vediamo ma c’è lo stesso'".

Torniamo alla prima volta in cui ha capito che il vostro incontro sarebbe potuto diventare qualcosa di molto di più. Era preoccupata dalla differenza di età tra voi, 16 anni? 

"No, mai stato un problema. Questo sentimento è stato così forte che tutto ciò che è accaduto è avvenuto in maniera naturale. E rifarei tutto pur sapendo il prezzo altissimo che alla fine dovrei pagare".

L'intervista è stata pubblicata nell'edizione odierna di TuttoSport

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