Ma vale la pena morire per Perez?

Ma vale la pena morire per Perez?© LaPresse

L’Uefa l’ha eufemisticamente definita «una dichiarazione d’impegno», concordata e firmata formalmente per mettere nero su bianco «le modalità di reintegrazione e partecipazione dei club alle competizioni per club. Le misure di reinserimento approvate sono complete e definitive». In realtà, Inter, Milan, Arsenal, Chelsea, Atletico Madrid, Liverpool, City, United e Tottenham hanno firmato la resa a Ceferin che, quando si tratta di dire ciò che pensa, non ha mai il difetto di tergiversare.

I terrapiattisti

Addì, 25 aprile scorso, a Superlega già autodisintegrata. Il capo del calcio europeo martella come un fabbro: «Per me c’è una chiara differenza fra i club inglesi e gli altri sei perché gli inglesi sono stati i primi a tirarsi indietro, ammettendo l’errore. Ci sono tre gruppi in questi dodici club: i sei inglesi, poi gli altri tre (Atletico Madrid, Milan e Inter) e poi quelli che considerano la terra piatta e pensano che la Superlega esista ancora. E fra questi tre gruppi c’è una grande differenza. Tutti, comunque, saranno ritenuti responsabili. In che modo poi lo vedremo». Ieri sera l’abbiamo visto, registrando l’ingresso dell’Atletico e delle due milanesi nel novero dei pentiti superleghisti. Ora la partita rimane aperta con i terrapiattisti (Real, Juve e Barcellona). L’aria che tira a Nyon,dove volano i falchi di Ceferin, non promette nulla di buono per gli ultimi ribelli. Questi, non soltanto non hanno ancora metabolizzato il fallimento della loro secessione, spazzata via dalla rivolta dei tifosi; dai tackle di Boris Johnson, Mario Draghi, Emmanuel Macron, della Commissione europea, degli allenatori e dei calciatori. Quel che è peggio, forse i tre club asserragliati nel loro torneo privato come gli ultimi giapponesi nella giungla pensavano finisse tutto a tarallucci e vino.

Il marchese del Grillo

Eppure, Perez, Agnelli e Laporta dovrebbero conoscere bene Ceferin. A cominciare proprio dal presidente del Real che, se continua a indossare i panni del marchese del Grillo, rischia di andare a sbattere contro il muro di Nyon, trascinandosi gl altri due. Il 23 aprile, fra le macerie della Superlega ancora fumanti, Perez dixit: «Questo non è né un piano di esclusione né va contro le leghe. Il progetto è il migliore possibile ed è stato fatto per aiutare il calcio a uscire dalla crisi. Il calcio è gravemente ferito perché la sua economia sta affondando e dobbiamo adattarci. La Superlega non va contro i campionati nazionali e mira a più soldi per tutto il calcio». Amen. Le finali di Europa League (26 maggio) e di Champions League (29 maggio) congelano solo temporaneamente la decisione finale, ma i due anni di esclusione dalle coppe europee sono la spada di Damocle che pende sulle teste di Perez, Agnelli e Laporta. O, per meglio dire, le spade sono due: la seconda si chiama Debito. Al 30 giugno scorso, l’ammontare netto complessivo dei club fondatori della Superleague era di quasi 3 miliardi di euro. E undici dei dodici apostati della Champions League, Chelsea escluso, figurano fra i quattordici club più indebitati al mondo. Ora che gli apostati sono rimasti in tre e tutti e tre sono assillati, cioè assediati, da bilanci sconquassati, la domanda del giorno è una sola: Juve, vale la pena di morire per Perez? Questi si fa forte del provvedimento del Tribunale commerciale numero 17 di Madrid che il 20 aprile ha vietato a Fifa, Uefa, Liga e alle tre federazioni calcistiche di adottare qualsiasi provvedimento che «vieti, restringa, limiti o condizioni in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente» lo svolgimento della Superlega europea. Inoltre si vieta l’esclusione dei club che promuovono la Superlega «da qualsiasi competizione internazionale o nazionale per club a cui hanno partecipato regolarmente, come la Champions League». Nel frattempo, la Superlega si è slegata da sola e il Real, regolarmente in lizza in Champions, è stato eliminato in semifinale dal Chelsea. Si chiama nemesi del merito sportivo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...