“Le regole dell’Uefa sono davvero uguali per tutti?"

Intervista a Tariq Panja, giornalista del New York Times, autore dell’inchiesta sul caso Psg-Uefa
“Le regole dell’Uefa sono davvero uguali per tutti?"

Tariq Panja «si occupa di alcuni dei lati più oscuri e delle crepe dell’industria globale dello sport», si legge nella didascalia che accompagna la sua foto sul sito del New York Times, il giornale per il quale scrive. L’ultima delle sue sempre affilate inchieste riguarda il potenziale conflitto di interessi fra il presidente del Paris Saint Germain Nasser Al Khelaifi e la Uefa. Al Khelaifi è, infatti, membro dell’esecutivo, presidente dell’Eca (l’associazione dei club europei) e contemporaneamente anche il presidente di BeIn Sport, il network televisivo che spende di più a livello globale per i diritti del calcio europeo. E questo rende sospetto il fatto che Al Khelaifi sia stato assolto, senza essere neppure citato e senza alcuna spiegazione, nell’inchiesta della giustizia sportiva sull’aggressione all’arbitro Danny Makkelie (cui aveva partecipato attivamente secondo il referto dello stesso direttore di gara). 
 
Buongiorno Tariq, è molto intrigante la descrizione che dà di te il New York Times. A questo punto è obbligatorio chiederti quanti sono i lati oscuri del calcio di oggi e qual è il più oscuro di tutti. 
 
«Credo che il calcio, inteso come industria, abbia molte aree oscure perché c’è una mancanza di trasparenza che dà l’opportunità a chiunque di pensare male. Nessuno sport è così globale, nessuno sport muove così tanti soldi come il calcio, diventa quindi difficile raccontare questa industria al pubblico solo sulla base di indiscrezioni o fughe di notizie, senza che il pubblico non pensi che ci sia qualcosa che non quadra o che si ponga molte domande alle quali è difficile rispondere. Il calcio è unico: non c’è niente al mondo che può dare tanto potere e visibilità nelle persone che investono, questo per la passione e l’attenzione che genera. A questo punto servirebbe maggiore trasparenza»
 
È un problema anche dei media che non ne pretendono abbastanza? 
 
«Sì, il problema è peraltro lo stesso della politica. C’è troppa vicinanza fra i giornalisti e i club. Questo crea una relazione non del tutto salutare, perché il giornalista sa che per avere notizie, interviste, scoop, deve essere vicino alla società. Quindi tende a censurarsi per non perdere la sua posizione di vantaggio. Dall’altra parte i club alimentano questo meccanismo preferendo alcuni giornalisti ad altri. Anche questo crea un problema di trasparenza»
 
Il caso del conflitto di interessi fra Psg e Uefa è un esempio di questa mancanza di trasparenza? 
 
«Il problema del conflitto di interessi fra il Paris Saint Germain e l’Uefa esiste dal 2019, quando Al Khelaifi è stato inserito nell’esecutivo dell’Uefa, nonostante un’indagine penale a suo carico in Svizzera, dalla quale è stato successivamente assolto. Le regole per impedire quella nomina, tuttavia, esistevano e non sono state applicate. Le cose sono peggiorate con la nomina a presidente dell’Eca dopo la vicenda della Super League, perché Al Khelaifi è anche il presidente del broadcaster che spende più soldi nel calcio europeo per l’acquisto di diritti. Un cumulo di ruoli che verrebbe ritenuto eccessivo in qualsiasi altro settore industriale. Però vorrei sottolineare che non ho niente contro Al Khelaifi. Per me potremmo parlare del signor Smith e sarebbe la stessa cosa: qui parliamo dell’accumulo di ruoli non della persona in sé. Un conflitto di interessi che l’Uefa garantisce non incide su nessuna scelta. Bene... ci dobbiamo fidare dell’Uefa, però, perché certi procedimenti non avvengono alla luce del sole e, quindi, inevitabilmente generano sospetti, date le circostanze»
 
Per esempio, la scomparsa di Al Khelaifi dal provvedimento disciplinare nel caso Psg-Makkelie. Domanda: perché ne hai scritto solo ora? È uscita a giugno, anche noi di Tuttosport avevamo notato l’anomalia di quel verdetto. 
 
«Aspettavo da marzo, quando ci fu l’aggressione all’arbitro, che uscisse il verdetto, ma passavano le settimane e l’Uefa continuava a pubblicare comunicati e sentenze su altre questioni disciplinari, ma non su quella. Così ho iniziato a tenere d’occhio la questione. Poi un venerdì di giugno, alle sei del pomeriggio, compare sul sito, nella speranza che non se ne accorga nessuno. Non si fa menzione di Al Khelaifi e, soprattutto, non c’è traccia del perché è scomparso e di come si è arrivati alla sentenza finale che condanna il solo Leonardo. Io non dico che Al Khelaifi non sia innocente, evidentemente lo è se non è stato condannato, ma perché non viene spiegato il perché? L’arbitro lo accusa in modo diretto, ma non è detto che l’arbitro abbia ragione. Perché non c’è una relazione delle indagini condotte dall’Uefa in questi mesi? Una maggiore trasparenza fugherebbe ogni cattivo pensiero sul conflitto di interessi. E invece niente, tutto si è fermato a quella scarna notizia della condanna di Leonardo»
 
Nella tua inchiesta parlano persone che hanno lavorato nell’Uefa o nella Fifa. Ed esprimono critiche e osservazioni piuttosto dure. Che percezione hai di quello che succede dentro l’Uefa? C’è compattezza intorno a Ceferin o esiste del dissenso interno? 
 
«In qualsiasi grande organizzazione, e l’Uefa è una grande organizzazione, non può esistere il cento per cento del consenso. So che ci sono molte persone frustrate per la vicenda del Psg o anche per certe sentenze degli anni passati sul Fair Play Finanziario. Nella mia inchiesta parla Alex Phillips che è stato dirigente per 17 anni e di recente si occupava delle questioni di conformità. Ha lasciato l’Uefa nel 2019 e ha detto che la giustizia sportiva dell’Uefa è stata politicizzata in un modo in cui non lo era mai stato. Una dichiarazione di questo tipo dovrebbe essere ascoltata con attenzione perché, se così fosse, come fanno i club a credere che le regole siano uguali per tutti? L’industria del calcio è socialmente importante per milioni e milioni di persone in Europa che sono letteralmente ossessionate da questo sport. Delle regole giuste dovrebbero essere garantire da un organismo come l’Uefa o la Fifa. Dov’è il regolatore europeo che vigila che questo avvenga?»
 
Nella tua inchiesta il conflitto di interessi fra Al Khelaifi e l’Uefa emerge in modo abbastanza netto. Pensi che il mondo del calcio se ne renda conto? Se sì, perché lo tollera e per quanto lo tollererà? 
 
«Il mondo del calcio è molto conservatore. Nessuno vuole denunciare pubblicamente qualcosa che non va. I club si combattono sul campo e molto meno in altre sedi. Prendi lo scandalo Fifa del 2015, ci sono stati arresti, persone mandate a processo. È stato uno scandalo enorme. Cos’è cambiato da allora? Solo i nomi sulle porte. Il sistema non è stato riformato»
 
Come credi che finirà il procedimento presso la Corte di Giustizia Europea che deve giudicare sull’eventuale abuso di monopolio da parte dell’Uefa? 
 
«Ero in Lussemburgo durante le prime due udienze. Ho capito che l’Uefa ha il supporto di molti Governi, ma il punto chiave è che l’Uefa è l’organizzatore delle manifestazioni sportive, di cui poi vende i diritti tv, e nello stesso tempo è il regolatore del calcio. Come puoi occupare questi due ruoli? Con che credibilità? Per esempio: sarai in grado di punire il più celebre degli attori in gioco se questo è quello che ti garantisce più denaro?»
 
Il calcio europeo è schiacciato dalla potenza economica della Premier League. Che futuro ti immagini? Una Premier in stile Nba con gli altri campionati che si impoveriranno di campioni e di soldi? 
 
«Siamo già in quello scenario. Credo che sia finita l’era dei big five, dei cinque grandi campionati di cui parlava la Deloitte nei suoi report. I campioni continueranno ad andare in Premier sempre più numerosi e la Champions, che già dovrebbe essere dominata dai club inglesi, lo sarà sempre di più. È questo che vogliono i tifosi europei? Se la risposta è no, dovrebbe essere l’Uefa a garantire una maggiore equità competitiva. Poteva farlo, ma il Fair Play Finanziario ha fallito ed è destinato a fallire ancora nell’obiettivo di livellare la competizione. Ci potevano essere molti meccanismi per diminuire il potere del denaro, ma non sono stati introdotti»
 
Credi che la Champions League sia un prodotto globalmente ancora efficace per competere con il modo dell’intrattenimento? 
 
«So che il pensiero di Andrea Agnelli e di altri è che stiamo perdendo le nuove generazioni perché il prodotto non è abbastanza appetibile, ma io non sono d’accordo. Credo che la Champions League sia ancora un prodotto di grande attrattiva e che sa generare enormi emozioni e straordinaria passione. Certo, le persone che organizzano la Champions dovrebbero sentire la responsabilità di tutto il resto di cui abbiamo parlato prima»
 
Da giornalista di uno dei più importati giornali americani ti chiedo: cosa vedono le proprietà americane nel calcio italiano? Stanno aumentando progressivamente. 
 
«Un calcio sottovalutato sotto il profilo economico e con grandi margini di crescita. È un discorso logico e comprensibile, ma non vorrei che sottovalutassero la burocrazia italiana e un certo modo politico di gestire la Lega. Certo, se diventassero maggioranza nell’assemblea di Lega... Dopodiché tutti sperano, romanticamente, nel ritorno del grande calcio italiano e degli stadi pieni e appassionati».

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