Vialli, da Wembley a Wembley: quel filo azzurro-blucerchiato

Il trionfo europeo del 2021 nello stesso stadio della sconfitta in Coppa Campioni con la Sampdoria nel 1992: che storia!
Vialli, da Wembley a Wembley: quel filo azzurro-blucerchiato

Wembley 1992-Wembley 2021. Un invisibile, infrangibile filo blucerchiato e azzurro lega la finale di Coppa dei Campioni immeritatamente persa dalla Sampd’Oro alla finale dell’Europeo meritatamente vinta dall’Itald’Oro. Era destino che a tessere quel filo fossero Vialli & Mancini o Mancini & Vialli, divenuti ormai la stessa cosa nelle loro vite, incrociate da una colleganza mutata in amicizia e trasformatasi in fratellanza, ché fratello di Luca più che mai si è sempre sentito Roberto e viceversa.

Anni formidabili

Davvero formidabili quegli anni vissuti a Genova, nel tempo Doria di Paolo Mantovani, campione d’Italia superando il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi, il Napoli di Maradona. Davvero una Bella Stagione, immortalata dal docufilm di Marco Ponti che Luca e Roberto hanno presentato il 27 novembre scorso a Genova. La storia di «una squadra di amici che ha consumato ossa, sudore, sangue e fatica per rendere possibile l’impossibile, sfidare e battere lo status quo, agitare le acque sino a scatenare uno tsunami». Una Samp entrata nell’epopea del calcio: Vialli & Mancini ne erano l’anima, lo spirito, la gloria. «Io e Mancio eravamo come in trincea - raccontò Luca - io coprivo le spalle a lui e lui a me. Abbiamo dormito per dieci anni l’uno di fianco all’altro». Qualche volta hanno ricordato di avere anche baruffato, come capita nei rapporti veri che poi, proprio per questo, diventano ancora più autentici. Come quando, nella partita contro il Pisa, Roberto fa impazzire la difesa avversaria, ma, anziché segnare, passa il pallone a Luca, rientrante dopo una lunga assenza per infortunio, che segna e sbotta: «Grazie, questo sì che è un assist, non come quando lanci alla cieca da 30 metri, io la prendo, sgomito, ne scarto due, faccio gol e poi scrivono: gol di Vialli su lancio pazzesco di Mancini». E Mancini: «Cominciavi a darmi fastidio con tutto questo correre per il campo senza combinare nulla». Capite dove abbia affondato le radici l’abbraccio di Wembley 2021, iconica, indelebile immagine dell’Italia campione d’Europa dopo cinquantatré anni, che in queste ore non ci stanchiamo di vedere e rivedere. Capite perché, nel novembre 2019, quando Mancini chiama Vialli proponendogli di diventare il capodelegazione della Nazionale, il ct tinga d’azzurro le stesse parole rivoltegli trentacinque anni prima, quando gli chiese: «Perché non vieni alla Samp? Stiamo facendo una squadra fortissima».

Così è stato

Nel Club Italia, Luca ha ricoperto il ruolo per tre anni, sino a quando, era il 14 dicembre, soltanto ventitré giorni fa, ha annunciato: «Al termine di una lunga e difficoltosa ‘trattativa’ con il mio meraviglioso team di oncologi, ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Prima di Vialli, anche Gigi Riva aveva ricoperto un incarico dirigenziale come il suo: nessuno, meglio di Gianluca, avrebbe potuto raccogliere il testimone di Rombo di Tuono, iridato con l’Italia di Lippi nel 2006. Tutto si tiene, l’uno e l’altro magnifici interpreti dei valori assoluti della squadra 4 volte campione del mondo, 2 volte campione d’Europa, 1 volta campione olimpica. Chiamandolo accanto a sé, Mancini fece la scelta più felice. Impegnato nell’opera di ricostruzione della Nazionale dopo il fiasco della mancata qualificazione ai Mondiali di Russia, il ct intuì che avere al fianco il proprio dioscuro, per dirla con Brera, avrebbe permesso all’Italia di avere un capitano non giocatore, seduto in panchina con il suo allenatore, un compagno di squadra dalla forza morale e dall’esperienza azzurra di fondamentale importanza per il gruppo. Così è stato.

Anima grande

E in queste ore di lacrime che non si riescono a fermare, riecheggiano le parole di Florenzi nella notte di Londra: «Abbiamo in Nazionale un esempio che ogni giorno ci dimostra come si debba vivere e come ci si debba comportare. È Vialli. Per noi è speciale. Adesso lui mi odierà perché ho detto queste cose, ma, credetemi, lui, speciale lo è davvero». Corollario del cuore al discorso pronunciato da Luca prima della finale, rivolto agli azzurri e, presumo, freudianamente anche a se stesso: «Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio. L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria né la sconfitta». Ti ameremo per sempre, anima grande.

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