Il giorno della memoria: mai dimenticare il punto più basso dello sport

Le persecuzioni naziste contro gli italiani di origine ebraica non ebbero nel Coni e nelle Federazioni una doverosa opposizione. Anzi. Nei campi di sterminio finirono tanti giocatori, tecnici, dirigenti. Come Arpad Weisz, Vittorio Staccione, Raffaele Jaffe
Il giorno della memoria: mai dimenticare il punto più basso dello sport

Oggi è il giorno della memoria. È stato scelto il 27 gennaio perché fu quello il giorno, del 1945, in cui le truppe sovietiche entrarono nel campo di Auschwitz-Birkenau, il principale e più famoso dei centri di sterminio partoriti dalla follia del nazismo. Ciò che videro gli occhi dei soldati dell’Armata Rossa ha assunto molti nomi: genocidio, olocausto. Shoah in ebraico significa tempesta devastante. Tale fu ciò che accadde dal 1940 al 1945 nel cuore dell’Europa. Ad Auschwitz morirono diversi atleti. Alcuni famosissimi come Arpad Weisz, allenatore dell’Inter e del Bologna negli Anni 30, vincitore di tre scudetti nel nostro campionato, altri meno noti, ma i cui nomi compaiono oggi nel lungo elenco dello Yad Vashem. È un’opera di pazienza e di custodia della memoria: via via sono state ricostruite le schede di ogni singola vittima, attraverso la raccolta delle testimonianze. Vi compaiono molti atleti. Nei campi di sterminio morì il pugile Leone Efrati, costretto a combattere per il divertimento delle guardie, e sempre nei campi polacchi persero la vita i calciatori dell’Ajax, gli atleti francesi, diversi allenatori ungheresi. Per fortuna ebbe salva la vita Egri Erbstein, l’uomo che grazie all’umanità di Ferruccio Novo, riuscì a riparare in Ungheria e salvarsi. Nel Dopoguerra avrebbe scritto, proprio lui, la leggenda del Grande Torino.

Se il 27 gennaio 1945 fu la fine del tutto, l’inizio era cominciato quasi dieci anni prima. E lo sport, come sempre nelle cose della vita e della storia, non era rimasto fuori. La salita al potere di Hitler in Germania nel 1933 rappresentava l’ovvio snodo dell’antisemitismo moderno. La notte dei cristalli, i primi e fortissimi provvedimenti contro gli ebrei, assieme all’esaltazione dell’arianità portata in luce anche nelle Olimpiadi del 1936. L’escalation non si fermò, anzi arrivò rapidamente ai Paesi vicini. L’Italia, fino a quel tempo non solo lontana dalla persecuzione, ma addirittura con molti ebrei eroi del Risorgimento e fascisti della prima ora, dal 1938 decise di dichiararsi contro i “deicidi” e di perseguitarli con una legislazione feroce. Molto si è discusso sulle ragioni di questo risentimento in Italia. Certamente valse il rafforzamento dell’alleanza con la Germania, ma anche l’impresa in Etiopia. Fu infatti lì, per la prima volta, che il concetto della purezza della razza arrivò a lambire lo Stivale. L’incontro con gli africani spinse alla “legge del madamato”, il primo, autentico atto di discriminazione basato sulla razza. A seguire, poi, arrivarono l’informativa numero 14 del febbraio ‘38, il Manifesto sulla Razza, soprattutto le prime leggi antiebraiche varate dal governo Mussolini nel settembre di quello stesso anno. Colpirono gli studenti ebrei e gli ebrei stranieri, fra questi allenatori come Weisz ed Erbstein costretti a lasciare presto il Paese. Con loro, Jeno Konrad, espulso della Triestina e obbligato a cercarsi lavoro prima in Francia e poi in Portogallo; e Vilmos Wilheim, esonerato dal Padova e tornato al suo posto di lavoro solo a guerra finita. Il clima cambiò di colpo. Il 1938 costituì infatti il momento più cupo nella storia del fascismo e di tutto il Novecento italiano. L’apice si sarebbe raggiunto con il regio decreto n. 1728 del 17 novembre controfirmato da Vittorio Emanuele III, quello che va considerato come l’atto finale e più importante della lunghissima sequenza di decisioni discriminatorie da parte del governo. Ma in quei mesi nacque anche la Difesa della Razza, ignobile giornale che cercava di dare una scientificità alle ideologie malate del razzismo, e accanto alla pubblicistica si scatenarono docenti universitari, pseudo scienziati, gente che per ingraziarsi il potere era pronta a sostenere ogni tesi. Si creò persino la figura dell’Ariano-Mediterraneo, più comico che orrido.

Lo sport, dicevamo, non brillò. I giornali furono superficiali e opportunisti nei migliori dei casi. Per tutti valga ciò che scrisse il Calcio Illustrato sempre in quei giorni. Davanti alla cacciata dei tecnici ebrei stranieri, si rallegrò, con un titolo osceno: “Bonifica”. Si leggeva: «La bonifica della razza è pertanto destinata ad avere più che salutari conseguenze calcistiche». Non meno disgustoso fu il comportamento di Federazioni e del Coni, guidato da Achille Starace. Si vantò, in una delle giunte di allora, del completamento dell’epurazione degli ebrei dai quadri del Coni. Dopo il ritrovamento sconvolgente di quel documento, con un atto di grande correttezza e sensibilità, il presidente del Coni nel 2018 si è scusato per quanto fece l’allora Comitato olimpico in quella vicenda. Le federazioni non furono migliori, anzi. Corsero a rendere “juden-free” le loro strutture. I circoli tennis chiusero le porte agli ebrei, come ben ricorda “Il Giardino dei Finzi Contini”, e tutta la società civile girò le spalle a quelli che erano stati fino a lì italiani come gli altri. Lo sport non diede grande prova di sé e va riconosciuto con onestà oggi, ricordando con più forza chi venne perseguitato, escluso, arrestato e infine ucciso, ad esempio il presidente del Casale Raffaele Jaffe. Il suo collega Sacerdoti, a capo della Roma, fu costretto a lasciare il club, salvo ritornarvi a guerra finita. Nessuno ebbe il coraggio di ribellarsi davvero al potere. Che anzi nello sport aveva inserito i suoi uomini e i suoi gerarchi. L’Italia giocava in maglia nera, la vittoria del Mondiale 1938 in Francia era la “vittoria della razza italica”, tutto andava prendendo una colorazione sempre più pesante, cupa e inevitabile. All’orizzonte c’erano la guerra e lo sterminio di milioni di ebrei, assieme a zingari, omosessuali, politici. È la pagina più oscura della storia dell’uomo. È il Male assoluto. Come ha scritto Primo Levi, “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Anche nell’ambito del nostro amato sport.

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