Nel nome di Vialli il calcio chiami Padovano tornato dall'inferno

Alle porte del calcio italiano ribussa un ragazzo di 56 anni che, invero, sono 39 poiché diciassette li ha passati ingiustamente all'inferno, prigioniero di un urticante caso di malagiustizia
Nel nome di Vialli il calcio chiami Padovano tornato dall'inferno© AG ALDO LIVERANI SAS

Alle porte del calcio italiano ribussa un ragazzo di 56 anni che, invero, sono 39 poiché diciassette li ha passati ingiustamente all'inferno, prigioniero di un urticante caso di malagiustizia, uno dei circa mille registrati ogni anno nel nostro meraviglioso Paese, fra ingiusta detenzione ed errori giudiziari. Il ragazzo si chiama Michele Padovano, nato a Torino il 28 agosto 1966. Ha giocato per Asti, Cosenza, Pisa, Napoli, Reggiana, Genoa, Juve, Crystal Palace, Metz, Como e, per una volta, anche in Nazionale; con la Juve ha vinto 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale,1 Supercoppa Uefa, 1 scudetto e 1 Supercoppa italiana. Totale in carriera: 336 partite da professionista e 90 gol. Il 10 maggio 2006, Michele è stato arrestato sotto l'accusa di essere finanziatore d'un traffico di droga dal Marocco.

In realtà, ha sempre detto protestando la sua innocenza,"avevo solo prestato 40 mila euro a un amico d’infanzia, che sarà stato pure un delinquente, ma resta un amico. Mi aveva detto che gli servivano per un debito...". Nell'ottobre 2011 il pubblico ministero chiese per Padovano 24 anni di carcere; in dicembre, il tribunale lo condannò in primo grado alla pena di 8 anni e 8 mesi di reclusione, ridotti a 6 anni e 8 mesi in appello. Il 31 gennaio 2023, la Corte d'Appello di Torino l'ha assolto con formula piena dopo quattro processi: il primo grado, l'Appello, la Cassazione che ha cancellato la sentenza di condanna e l'assoluzione definitiva, di nuovo in Appello. Alle spalle, Michele si è lasciato anche 3 mesi di carcere e 8 mesi ai domiciliari, in attesa di giudizio. A Marco Bo, su Tuttosport, ha raccontato dei suoi due "angeli protettori”, gli avvocati Michele Galasso e Giacomo Francini; della gioia indicibile provata quando gli hanno telefonato per dirgli :"Sei stato assolto". Delle lacrime che hanno rigato il suo viso e il viso di Adriana, sua moglie e Denis, suo figlio. Porta il nome di Bergamini, il grande amico ai tempi del Cosenza. Anche per lui, che non c'è più dal maledetto 18 novembre 1989, Michele spera trionfi la verità e, anche per questo, andrà sulla sua tomba, in provincia di Ferrara, dopo essere stato a Padova a rendere omaggio a Sant’Antonio, per sciogliere il voto fatto dieci anni fa insieme con Adriana, sempre accanto a lui, con la forza dell'amore vero, accanita avvocata della sua innocenza.

Prima di andare all’inferno, Padovano era stato direttore sportivo del Torino, dirigente dell'Alessandria, consulente di mercato della Pro Patria, direttore generale del Casale. Durante i 6.111 giorni che hanno stravolto la sua vita, Michele ha visto il calcio voltargli le spalle. "A un certo punto, mi sentivo Pablo Escobar. L'immagine dell'arresto mi ha fatto compagnia ogni sera, quando mi addormentavo e quando mi svegliavo". Chi mi è stato vicino? Ho sentito l'affetto di Gianluca Presicci, mio compagno al Cosenza e di Gianluca Vialli che telefonava tutti i giorni a mia moglie per chiedere di me e informarsi sulle nostre condizioni. Mi sono bastati. Vialli era una grande persona e un amico vero. MI diceva: "Michi, non mollare un cazzo!". Con me è stato meraviglioso, so che oggi sarebbe contento per me. Mi manca molto". Domani si compirà già un mese da quando Gianluca ci ha lasciato. Sarebbe bello, se nel suo nome, il calcio riaprisse le porte, offrisse un'opportunità al ragazzo appena tornato dall'inferno. Lui ne ha diritto. Gianluca ne sarebbe felice.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...