Altro problema che deve affrontare il calcio: la generazione Z, quella nata dal 2000 in poi, non sembra più così appassionata. Si annoia per i 90’, preferisce i condensati e vive il calcio in modo diverso rispetto alla generazioni precedenti.
"È un tema sul tavolo. L’industria dell’intrattenimento e l’industria sportiva lo stanno analizzando, perché cambiano abitudini, attitudini, gusti e modalità di fruizione. Se si pensa che oggi una partita viene vista con tre schermi: quello principale con l’evento; un altro, magari del cellulare, per chattare di quell’evento con la comunità; un terzo per videogiocare. Dobbiamo cercare nuovi modi per raggiungere quella generazione: il Mondiale femminile ha venduto dei diritti a Tik Tok che trasmetterà dei contenuti esclusivi per la prima volta a pagamento per gli utenti. Insomma, siamo attenti alle trasformazioni, ma d’altra parte non possiamo pensare di perdere i nostri utenti delle passate generazioni per inseguire quelle nuove. La fruizione tradizionale per noi resta un business da non trascurare. Se penso per esempio all’Africa ci sono modalità del tutto diverse".
Quali?
"Per esempio funzionano i park: luogo dove montare maxischermi e far vivere la partita a dieci, a volte ventimila persone tutte insieme. Quella della visione colletiva e pubblica è un modello di successo perché molti non hanno la tv o il segnale televisivo non arriva, oltre al fatto che amano molto vivere insieme la partita, in una situazione di convivialità molto più forte di quella che si può trovare in Europa. Insomma, ognuno ha la sua modalità, non possiamo trascurarne nessuna e seguiamo con attenzione l’evolversi dei gusti e delle abitudini dei giovani, ma noi in questo ambito non dobbiamo essere gli innovatori, ma coloro che seguono l’innovazione. Quindi monitoriamo la situazione, ma Non si possono perdere i clienti di oggi per inseguire, senza certezza di conquistarli, quelli di domani".
La Fifa è un’associazione no-profit, tuttavia sotto il suo ombrello c’è chi, invece, con il calcio cerca proprio i profitti: penso ai fondi che stanno entrando massicciamente nel calcio europeo.
"Io credo che le due cose possano convivere. È logioco che attiri Lo sport è un acceleratore di relazioni e opportunità per essere presenti nel sistema globale perché ha la capacità di essere inclusivo, globale e, parlando ai sentimenti, fa passare più velocemente i messaggi. Resta il gioco più grande del mondo, oltretutto con margini di crescita: si pensi alle potenzialità inespresse negli Stati Uniti, dove il Mondiale del 2026 aprirà una nuova era che viene preparata ora dallo sviluppo della Mls. E nel 2025 partirà il Mondiale per club con la nuova formula che lo rende simile al Mondiale vero e proprio, una competizione con 32 squadre e quasi un mese di durata: abbiamo capito che c’era questa esigenza e abbiamo risposto".
L’Italia invece arranca per vendere i diritti.
"Vivo all’estero da anni e sinceramente la fama del calcio italiano non mi sembra scalfita più di tanto. Può avere dei problemi nella vendita dei diritti interni, ma anche legati a una congiuntura economica. L’appeal dei grandi marchi come Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio o Napoli restano forti. E all’estero non vedono le nostre beghe, ma le tre squadre in finale. Io credo nel calcio italiano".
Gli scandali non hanno inciso sull’immagine del nostro calcio?
"Gli scandali all’estero non arrivano così forti, restano i risultati e la storia del nostro calcio".