Flick, il terzo peggior ct della Germania

Da 38 anni la nazionale tedesca non inanellava tre sconfitte consecutive. È la prima volta che un tecnico viene esonerato a ridosso di un grande torneo

Il pallone perso da Gosens nella propria metà campo, la mancata corsa all’indietro di Rüdiger per recuperare. Il gol dell’1-3 del Giappone, l’espressione sconsolata di Hansi Flick in panchina e l’incredulità dei giocatori in campo, ricoperti inevitabilmente di fischi da quei tifosi che Kai Havertz ha definito come «troppo lontani nel sostegno alla nazionale».

Insieme al prematuro esonero del ct, arrivato ufficialmente ieri pomeriggio, è la perfetta fotografia del momento che sta vivendo la Germania. Nell’ultimo anno e mezzo, il bilancio della Mannschaft parla di appena 4 vittorie in 17 uscite, con 7 pareggi e 6 sconfitte. Un rendimento che parla da sé, a maggior ragione se in mezzo ci si infila un’eliminazione nella fase a gironi del Mondiale, la seconda consecutiva, e una serie di obiettivi tecnici e tattici falliti.

Dal triplete con il Bayern all'esonero

Sembra ieri che la federazione, dopo la decisione di salutare Löw presa prima dell’Europeo del 2021, aveva deciso di puntare tutto sull’uomo che con Jogi aveva vinto la Coppa del Mondo in Brasile nel 2014 ed era reduce dall’en plein con il Bayern Monaco, con Triplete, Supercoppe e Mondiale per Club. Un allenatore che aveva vinto tutto, che aveva lavorato in federazione. Il profilo perfetto, l’uomo giusto secondo chiunque. Che aveva lasciato sul tavolo due anni di contratto col Bayern pur di tornare in nazionale. Flick era questo. Otto vittorie nelle prime otto avevano avvalorato la tesi, poi il crollo è iniziato e non si è più arrestato, fino alla cacciata. L’idillio è durato lo spazio di due mesi e mezzo, il tempo di qualificarsi al Mondiale a punteggio pieno.

Poi partita dopo partita sono riemersi tutti i limiti tecnici, tattici e mentali di una squadra che, esclusi quei 75 giorni, è sempre rimasta uguale a sé stessa da Russia 2018 in avanti. Alla ricerca di un equilibrio che sembra sempre così lontano, nonostante un tasso di talento che non la dovrebbe posizionare fuori dalle prime dieci del mondo, sulla carta. Il campo però dice una vittoria su sei partite, tutte con un comun denominatore: la sensazione che il gruppo non esprima neanche lontanamente quello che è il suo potenziale.

La squadra

Eppure Kimmich e Gündogan sono tra i top in mezzo al campo, così come Wirtz e Musiala sono talenti riconosciuti universalmente come potenziali Palloni d’Oro. Senza citare i soliti Sané, Gnabry, Havertz, Goretzka, Rüdiger, Süle. Giocatori che hanno vinto praticamente tutto con i club, ma che sono simboli di una generazione che rischia di aver portato la Germania a toccare il suo punto più basso. «Temo di finire in un buco nero», aveva detto Kimmich che di questa squadra dovrebbe essere uno dei leader. Flick le aveva provate tutte: ha provato a fare un passo oltre Thomas Müller, salvo poi richiamarlo. Ha varato difese a tre e a quattro, condotto esperimenti anche in termini di nomi - vedasi Füllkrug da nove, con risultati per giunta soddisfacenti - e tentato di risvegliare i big con esclusioni eccellenti, da Goretzka a Gnabry e Sule. Perdere Neuer per infortunio non ha aiutato, ma con vice Ter Stegen (lusso per pochissimi) l'alibi non c'è di certto. Si era detto «convinto di essere l'uomo giusto», ma la federazione aveva altre vedute.

Contro la Francia ci sarà Rudi Völler in panchina con Hannes Wolf e Sandro Wagner da assistenti, poi si prenderanno decisioni. Il nome di Nagelsmann è il più immediato, ma si valuta anche una figura diversa come Matthias Sammer. Non si esclude che resti Völler, mentre Louis van Gaal alla Bild non ha negato un eventuale interesse. A nove mesi dall’Europeo da ospitare in casa, con tutte le aspettative che comporta, la Germania non vede la luce in fondo al tunnel.

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