Il virus Fifa e le colpe di chi comanda il calcio planetario

Dopo Neymar, Camavinga e Vinicius, ko anche Gavi con la nazionale spagnola, uscito in lacrime per un guaio al ginocchio

Non ci siamo. E nulla fa pensare che le cose miglioreranno in futuro. Anzi. Partiamo dal fatto che non si tratta di un problema provocato dalle nazionali che non hanno colpe, almeno non più degli altri attori in gioco, e hanno, invece, tutto il diritto di pensare ai propri interessi (che poi sono anche quelli dei tifosi di tutto il mondo) contando sui migliori talenti. Sì, anche se «non sono loro a pagare gli ingaggi ai calciatori», come spesso viene sostenuto. A non tenere conto delle esigenze dei principali protagonisti dello spettacolo più bello del mondo è, infatti, un calendario disegnato male e sempre più fitto di incontri che, chi comanda il calcio planetario, è seriamente intenzionato a continuare ad appesantire. Ed è per questa ragione che quello che viene, ormai comunemente, definito virus Fifa per economia linguistica è, in effetti, anche virus Uefa, Conmebol e via dicendo. Perfino un tipo pacato, ma con le idee sempre molto chiare, come Toni Kroos non ha potuto fare a meno di constatare pubblicamente come i giocatori «sono solo delle marionette in mano alla Fifa e all'Uefa». Una tesi ripresa da gente come Pep Guardiola, Jurgen Klopp e Carlo Ancelotti, non proprio i primi arrivati: «È una battaglia persa», ha assicurato il tecnico catalano, mentre il collega emiliano non ha nascosto la propria preoccupazione nei confronti di chi continua «ad aggiungere partite perché l'unica cosa che vogliono è guadagnare più soldi». Tuttavia, appare quantomeno paradossale che non venga preso in considerazione il punto di vista di quelli che, se non abbiamo capito male, sono ancora oggi le galline dalle uova d'oro di un movimento che, per giunta, è in crisi.

Troppi infortuni in nazionale

E così, se a ottobre a soffrire sulla propria pelle le conseguenze del virus Fifa era stato Neymar, che rimarrà fuori per tutto il resto della stagione a causa della rottura del legamento crociato anteriore e del menisco del ginocchio sinistro, la parentesi novembrina delle nazionali che non si è ancora conclusa ha sancito la fine anticipata del 2023 per i madridisti Eduardo Camavinga (ginocchio) e Vinicius (bicipite femorale). Contrattempi, per fortuna, meno gravi invece per Erling Haaland (che non sa ancora se potrà esserci nel big match City-Liverpool del prossimo fine settimana), gli juventini Weston McKennie e Fabio Miretti, l’interista Alessandro Bastoni (out per il derby d’Italia), l’ex nerazzurro André Onana, Oyarzabal della Real Sociedad, i blaugrana Marc André Ter Stegen e Gavi (uscito ieri in lacrime nel match con la Georgia, si teme un serio infortunio al ginocchio destro), l’ex laziale Vedat Muriqi e così via. In un contesto del genere anche un progetto presentato malissimo, come la Superlega, è riuscito a resuscitare e, oggi, ha sicuramente più simpatie di ieri: «I gestori della Uefa vanno nella direzione contraria a quella auspicata - ha rivendicato, pochi giorni fa, Florentino Pérez -. Pretendono di riformare la Champions introducendo un formato con più partite. Assurdo». Dello stesso avviso FIFPro, il sindacato internazionale dei calciatori, che ha fatto notare come «nella stagione 2024-2025, dovuto alla nuova Champions e alle gare valide per le qualificazioni al Mondiale del 2026, per alcuni giocatori la stagione potrebbe essere lunga 89 incontri, un 11% in più rispetto all’attuale campagna». Ecco, appunto, in direzione contraria.
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