
Non ci siamo. E nulla fa pensare che le cose miglioreranno in futuro. Anzi. Partiamo dal fatto che non si tratta di un problema provocato dalle nazionali che non hanno colpe, almeno non più degli altri attori in gioco, e hanno, invece, tutto il diritto di pensare ai propri interessi (che poi sono anche quelli dei tifosi di tutto il mondo) contando sui migliori talenti. Sì, anche se «non sono loro a pagare gli ingaggi ai calciatori», come spesso viene sostenuto. A non tenere conto delle esigenze dei principali protagonisti dello spettacolo più bello del mondo è, infatti, un calendario disegnato male e sempre più fitto di incontri che, chi comanda il calcio planetario, è seriamente intenzionato a continuare ad appesantire. Ed è per questa ragione che quello che viene, ormai comunemente, definito virus Fifa per economia linguistica è, in effetti, anche virus Uefa, Conmebol e via dicendo. Perfino un tipo pacato, ma con le idee sempre molto chiare, come Toni Kroos non ha potuto fare a meno di constatare pubblicamente come i giocatori «sono solo delle marionette in mano alla Fifa e all'Uefa». Una tesi ripresa da gente come Pep Guardiola, Jurgen Klopp e Carlo Ancelotti, non proprio i primi arrivati: «È una battaglia persa», ha assicurato il tecnico catalano, mentre il collega emiliano non ha nascosto la propria preoccupazione nei confronti di chi continua «ad aggiungere partite perché l'unica cosa che vogliono è guadagnare più soldi». Tuttavia, appare quantomeno paradossale che non venga preso in considerazione il punto di vista di quelli che, se non abbiamo capito male, sono ancora oggi le galline dalle uova d'oro di un movimento che, per giunta, è in crisi.
Troppi infortuni in nazionale
