Mihajlovic e la lezione da tramandare: leader fiero tra rabbia e sorrisi

A un anno dalla scomparsa di Sinisa, resta vivo il ricordo dell’uomo e del tecnico che ha affrontato la malattia con coraggio

Un anno fa moriva Sinisa Mihajlovic, lasciando tutti più soli e più tristi. Ma ci sono ricordi, tracce, che il tempo non cancella. Con Sinisa, amico del calcio e un capo tribù di questo mondo, sarà sempre così, la sua luce non si spegnerà mai in chi lo ha conosciuto. È soltanto un anno, ma è come se fosse ieri, come se fosse già domani. Mihajlovic ha messo d’accordo tutti, cosa che non sempre gli era capitata da calciatore. Gli ultimi anni della sua vita sono stati invece un manifesto di cosa il calcio può fare. Pellegrinaggio tra tifosi di opposte fazioni, la critica tutta unita a sostenere lui, comuni appassionati.

La sua battaglia, iniziata la mattina in cui scoprì di avere la leucemia, continua ancora oggi con il suo esempio, lo stesso nome e cognome. Pronunci Sinisa Mihajlovic e pensi al coraggio, alla fierezza, a un uomo nel senso pieno. Poche settimane fa, a Coverciano, si è presentata la moglie Arianna, donna forte e coraggiosa non meno del marito. Tocca a lei portare avanti il ricordo di chi nella coppia non c’è più e lo fa con la sua gentilezza, il suo sorriso, la disponibilità per gli altri.

I ricordi di Mihajlovic

Ha portato in dono al Museo del Calcio la maglia che i calciatori del Bologna hanno voluto firmare per celebrare il loro allenatore, quegli stessi giocatori che un giorno - dopo la trasferta di Brescia - avevano deciso di parcheggiare il pullman sotto la stanza dell’ospedale Sant’Orsola nella quale Sinisa era ricoverato. Dalla finestra, lui li sgridò, quasi fossero nello spogliatoio e non in un sipario totalmente anomalo. Fu surreale, splendido, struggente. Sono tante le immagini che scorrono negli occhi e che questi lunghi mesi di assenza, lungi dal cancellare, hanno restituito ancor più forti. La prima, per chi scrive, è un lontano ritiro della Samp. Sinisa era al tempo giovane, esuberantemente giovane, con il soffio della vita a scorrere tra i capelli e il fisico di atleta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mihajlovic, da ragazzino a "nonno"

La seconda è la finale di Coppa delle Coppe vinta dalla Lazio a Birmingham, con lui accerchiato da Stankovic e altri amici serbi. Dove sedeva lui, per dirla con un famoso politico, stava automaticamente il capotavola. Ovunque fosse, lui era il leader. La terza è a Bologna, al Campione, il ristorante che Beppe Signori aveva aperto con Ivo Gandolfi. Era stato Ivo a consegnare ogni pranzo ed ogni cena a Sinisa mentre era ricoverato, perché la “chemio” gli aveva tolto il senso del sapore e del gusto. Più che un ristoratore, un amico, un fratello con la “s” bolognese. Se ne è andato anche lui due anni prima del vecchio cliente. Quelle serate erano allegria, felicità, scherzi, un inno alla vita, per sopprimere la bestia che già si era impadronita dell’uomo nato in Serbia e diventato adulto nel clima della guerra. Sinisa che sorride e che si arrabbia, Sinisa ragazzino con la Stella Rossa campione di Europa e “nonno” al Bologna, con il suo cappello pesante e l’ultima gioia di vedere la terza generazione di casa.

Ha lasciato un grande vuoto

Dietro ha lasciato un grande vuoto, cinque figli, il rimpianto insopprimibile per un’esistenza interrotta troppo presto. Perché è ingiusto, troppo ingiusto, morire a poco più di cinquant’anni come capitato un anno fa all’altro suo amico Gianluca Vialli, quasi negli stessi giorni. C’è un’ultima immagine che mi commuove. È Miro, il terzo figlio di Sinisa. Fa l’allenatore, lo si è visto qualche volta a Coverciano. Altissimo come papà e mamma, uno sguardo intelligente e dolce, un’evidente sensibilità. Sogna di emulare il babbo, forse. Vedere lui significa capire cosa abbia prodotto la difesa dei valori che Mihajlovic ha voluto perseguire in una breve e travolgente vita. Ciao mister, qua manchi ancora tanto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un anno fa moriva Sinisa Mihajlovic, lasciando tutti più soli e più tristi. Ma ci sono ricordi, tracce, che il tempo non cancella. Con Sinisa, amico del calcio e un capo tribù di questo mondo, sarà sempre così, la sua luce non si spegnerà mai in chi lo ha conosciuto. È soltanto un anno, ma è come se fosse ieri, come se fosse già domani. Mihajlovic ha messo d’accordo tutti, cosa che non sempre gli era capitata da calciatore. Gli ultimi anni della sua vita sono stati invece un manifesto di cosa il calcio può fare. Pellegrinaggio tra tifosi di opposte fazioni, la critica tutta unita a sostenere lui, comuni appassionati.

La sua battaglia, iniziata la mattina in cui scoprì di avere la leucemia, continua ancora oggi con il suo esempio, lo stesso nome e cognome. Pronunci Sinisa Mihajlovic e pensi al coraggio, alla fierezza, a un uomo nel senso pieno. Poche settimane fa, a Coverciano, si è presentata la moglie Arianna, donna forte e coraggiosa non meno del marito. Tocca a lei portare avanti il ricordo di chi nella coppia non c’è più e lo fa con la sua gentilezza, il suo sorriso, la disponibilità per gli altri.

I ricordi di Mihajlovic

Ha portato in dono al Museo del Calcio la maglia che i calciatori del Bologna hanno voluto firmare per celebrare il loro allenatore, quegli stessi giocatori che un giorno - dopo la trasferta di Brescia - avevano deciso di parcheggiare il pullman sotto la stanza dell’ospedale Sant’Orsola nella quale Sinisa era ricoverato. Dalla finestra, lui li sgridò, quasi fossero nello spogliatoio e non in un sipario totalmente anomalo. Fu surreale, splendido, struggente. Sono tante le immagini che scorrono negli occhi e che questi lunghi mesi di assenza, lungi dal cancellare, hanno restituito ancor più forti. La prima, per chi scrive, è un lontano ritiro della Samp. Sinisa era al tempo giovane, esuberantemente giovane, con il soffio della vita a scorrere tra i capelli e il fisico di atleta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...
1
Mihajlovic e la lezione da tramandare: leader fiero tra rabbia e sorrisi
2
Mihajlovic, da ragazzino a "nonno"