"Defibrillatore in ogni campo, è l'unica salvezza: in Italia siamo indietro"

L’attenzione ai possibili problemi cardiaci rimane in prima fila nel mondo del calcio: l'intervista al dottor Fabrizio Ugo, cardiologo dello sport
"Defibrillatore in ogni campo, è l'unica salvezza: in Italia siamo indietro"© LAPRESSE
Raccontiamo la prestazione sportiva, quella dei calciatori in particolare, e a volte veniamo risvegliati dalla dura realtà legata a patologie che possono colpire anche in modo letale i protagonisti, quelli che crediamo invincibili. La storia del calcio è piena di episodi che hanno segnato momenti drammatici e acceso i riflettori sul tema. Rimangono forti i ricordi dei drammi in diretta di Renato Curi e Piermario Morosini, morti nel lontano 1977 e più recente 2012 per improvvisi arresti cardiaci. Così quello che ha posto fine alla carriera di Lionello Manfredonia, tornato a condurre una vita normale ma non più calcistica, che si accasciò per lo stesso motivo dopo 5 minuti dall’inizio di Bologna-Roma del 1989. Ancora più recenti le immagini all’Europeo 2021 del danese Christian Eriksen il cui cuore si fermò per poi riprendere a battere e che lasciarono attonita la platea mondiale. Nello scorso fine settimana due gli episodi drammatici: Evan Ndicka, il difensore della Roma caduto a terra a Udine senza perdere coscienza, e il “non visto” del 26enne Mattia Giani, giocatore del Castelfiorentino che ha accusato un arresto cardiaco durante la partita con il Lanciotto ed è morto lunedì mattina all’ospedale di Careggi. Abbiamo chiesto un parere in merito al dottor Fabrizio Ugo, cardiologo dello sport dell’Istituto di medicina dello sport di Torino Fmsi e responsabile emodinamica dell’ospedale Sant’Andrea di Vercelli: «Siamo davanti a due casi completamente diversi. Nel primo si è vista una caduta a terra dopo un contatto fisico, ma non c’è stata perdita di coscienza. Il suo non è dunque avvicinabile a episodi come quelli di Morosini o Bovolenta. Ndicka è stato ricoverato in cardiologia e sottoposto agli approfondimenti necessari che hanno escluso origini legate a patologie cardiache. La causa dovrebbe essere quella di uno pneumotorace da trauma, un “collasso” del polmone che può anche capitare spontaneamente nei giovani tra i 15 e i 17 anni, in particolare se con fisici longilinei e magrolini. Di altra natura quanto capitato a Giani. Nel suo caso si è trattato di un arresto cardiaco e le circostanze hanno concorso al consumarsi del dramma».  
 
 Cosa può fare la differenza in questi casi?  
«L’arrivo con la giusta tempistica del defibrillatore, l’unico strumento che può salvare la vita. Deve però esserci qualcuno capace a usarlo, anche personale “laico” e non medico. Sono inoltre necessarie la presenza di un’ambulanza sul posto e, in ogni caso, di un medico su quella che viene chiamata. Nel caso di Giani pare che tutto questo sia mancato, così la giusta comunicazione con i soccorsi. Nel nostro Paese siamo ancora indietro circa la sensibilità sulla presenza e l’uso del defibrillatore, a differenza di quanto accade per esempio negli Stati Uniti. È giusto dire che nelle scuole ci si sta organizzando».  
 
Quali sono dunque i passaggi da compiere per cercare di salvare una vita in un episodio come questo?  
«La prima cosa è valutare le presentazioni cliniche, cioè capire se si è davanti a un soggetto che non risponde agli stimoli ed è sincopato oppure no. Nel primo caso praticare il massaggio cardiaco in attesa dell’arrivo del defibrillatore. Una presa di tempo che rappresenta la premessa all’unica azione che deve essere fatta. Poi seguiranno il trasporto in ospedale e gli accertamenti diagnostici». 
 
L’Italia è invece all’avanguardia per quanto concerne il delicato tema dell’idoneità sportiva. 
«Le nostre visite agonistiche sono approfondite e i dati dicono che, con l’introduzione per legge dell’idoneità agonistica, si sono salvate molte vite. La prevenzione è fondamentale». 
 
Perché, nonostante i controlli così accurati e di legge, si verificano ancora episodi gravi, come quelli citati, e come Astori, morto nel sonno?  
«Perché alcune patologie, a volte congenite, non risultano nemmeno dai controlli più capillari. Vedi un’ecografia al cuore».  
 
Anche nei settori giovanili la visita medico sportiva è richiesta?  
«Assolutamente e in età precoce, a seconda delle varie discipline. Ciò che dico alle famiglie è di non alterarsi qualora emergano problemi importanti, a volte risolvibili, legati ai figli sportivi. Prima la salute, poi l’eventuale carriera. Lo sport fa bene, è vita. Praticato a livello amatoriale e medio riduce la mortalità del 30/35%. Lo sport elitario invece l’aumenta perché le sollecitazioni esasperate possono diventare pericolose. È per questo che i controlli rigidi sono fondamentali». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...