Pagina 2 | Bergamini, chiesti 23 anni per l'ex fidanzata: "Omicidio per vendetta"

«Quello di Donato Denis Bergamini non è un suicidio, ma è stato ammazzato. Ed è stato ammazzato per onore. Quello di Bergamini è un delitto d’onore nella Calabria del 1989». A questa conclusione sono arrivati il Procuratore di Castrovillari, Alessandro D’Alessio, e il sostituto procuratore della Repubblica, Luca Primicerio, che al termine di due giorni di requisitoria, hanno chiesto la condanna dell’ex fidanzata, Isabella Internò, alla pena di 23 anni di reclusione.

La testimonianza di Tiziana Rota

Una decisione che tiene conto del fatto che, come dice la testimone più importante di questo processo, Tiziana Rota, che diventa anche la sua più grande accusatrice, «non è più quella persona, è una persona diversa». E proprio per questo la pubblica accusa ha deciso di chiedere il riconoscimento delle attuanti generiche per Internò. Cosa che non ha trovato per niente d’accordo le parti civili, rappresentate dell’avvocato Fabio Anselmo, e la sorella di Denis, Donata Bergamini. «Isabella Internò – dicono i due – è la stessa identica persona del 1989, anzi forse non è per niente migliore di quella». Donata Bergamini aggiunge: «Zitta è stata allora e zitta è rimasta ora, non vedo quale persona diversa sia».

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La ricostruzione

Nel corso della requisitoria i pm hanno ricostruito il profilo morbosamente geloso di Isabella Internò che “non lasciava respiro” a Bergamini e che quando capisce che la relazione è davvero finita mette in pratica e realizza il suo progetto di ammazzarlo. Già, perché la scienza ha dimostrato in questo processo che Donato Bergamini è morto per asfissia meccanica con mezzo soft, prima di essere sistemato sull’asfalto già morto. In quella che il procuratore D’Alessio ha chiamato senza mezzi termini: “Macabra e squallida messa in scena”. Una serie di testimonianze concordanti e le dichiarazioni “chiaramente false” di Isabella Internò, restituiscono la scena di un omicidio d’onore, venduto per tre decenni come suicidio. Ma in quel suicidio di un giovane calciatore di 27 anni, con un contratto faraonico, la possibilità di giocare in Squadre di Serie A e circondato da tutte le cose più belle della vita, non torna niente.

Quando è attesa la sentenza

Il cuore del processo è il 6 novembre 1989, dodici giorni prima dell’omicidio. Tiziana Rota, moglie di Maurizio Lucchetti, compagno di squadra di Bergamini, molto amica di Isabella Internò, va a Cosenza per far conoscere la sua bambina alla donna. «Neanche guardava mia figlia. – dichiara Rota - È altro il suo interesse. Mi disse ti devo parlare, ti devo parlare. Tizia’ l’ho perso, stavolta per sempre». Rota dice morto un papa se ne fa un altro: «No, No Tizia’ è un uomo morto, - ribatte Isabella Internò - lo faccio ammazzare. Se non torna con me lo faccio ammazzare». Isabella Internò non ha mai potuto raccontare al padre e ai cugini dell’aborto al quinto mese di gravidanza eseguito a Londra. Bergamini era disposto a tenerlo, ma non a sposare la ragazza che con ferma volontà decide di abortire. Non può nemmeno dire che al padre si è lasciata con Bergamini. Da qui il movente. Lunedì e martedì toccherà alle parti civili, il 26 e 30 alle difese e l’1 ottobre la sentenza.

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La ricostruzione

Nel corso della requisitoria i pm hanno ricostruito il profilo morbosamente geloso di Isabella Internò che “non lasciava respiro” a Bergamini e che quando capisce che la relazione è davvero finita mette in pratica e realizza il suo progetto di ammazzarlo. Già, perché la scienza ha dimostrato in questo processo che Donato Bergamini è morto per asfissia meccanica con mezzo soft, prima di essere sistemato sull’asfalto già morto. In quella che il procuratore D’Alessio ha chiamato senza mezzi termini: “Macabra e squallida messa in scena”. Una serie di testimonianze concordanti e le dichiarazioni “chiaramente false” di Isabella Internò, restituiscono la scena di un omicidio d’onore, venduto per tre decenni come suicidio. Ma in quel suicidio di un giovane calciatore di 27 anni, con un contratto faraonico, la possibilità di giocare in Squadre di Serie A e circondato da tutte le cose più belle della vita, non torna niente.

Quando è attesa la sentenza

Il cuore del processo è il 6 novembre 1989, dodici giorni prima dell’omicidio. Tiziana Rota, moglie di Maurizio Lucchetti, compagno di squadra di Bergamini, molto amica di Isabella Internò, va a Cosenza per far conoscere la sua bambina alla donna. «Neanche guardava mia figlia. – dichiara Rota - È altro il suo interesse. Mi disse ti devo parlare, ti devo parlare. Tizia’ l’ho perso, stavolta per sempre». Rota dice morto un papa se ne fa un altro: «No, No Tizia’ è un uomo morto, - ribatte Isabella Internò - lo faccio ammazzare. Se non torna con me lo faccio ammazzare». Isabella Internò non ha mai potuto raccontare al padre e ai cugini dell’aborto al quinto mese di gravidanza eseguito a Londra. Bergamini era disposto a tenerlo, ma non a sposare la ragazza che con ferma volontà decide di abortire. Non può nemmeno dire che al padre si è lasciata con Bergamini. Da qui il movente. Lunedì e martedì toccherà alle parti civili, il 26 e 30 alle difese e l’1 ottobre la sentenza.

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