La ricostruzione
Nel corso della requisitoria i pm hanno ricostruito il profilo morbosamente geloso di Isabella Internò che “non lasciava respiro” a Bergamini e che quando capisce che la relazione è davvero finita mette in pratica e realizza il suo progetto di ammazzarlo. Già, perché la scienza ha dimostrato in questo processo che Donato Bergamini è morto per asfissia meccanica con mezzo soft, prima di essere sistemato sull’asfalto già morto. In quella che il procuratore D’Alessio ha chiamato senza mezzi termini: “Macabra e squallida messa in scena”. Una serie di testimonianze concordanti e le dichiarazioni “chiaramente false” di Isabella Internò, restituiscono la scena di un omicidio d’onore, venduto per tre decenni come suicidio. Ma in quel suicidio di un giovane calciatore di 27 anni, con un contratto faraonico, la possibilità di giocare in Squadre di Serie A e circondato da tutte le cose più belle della vita, non torna niente.
Quando è attesa la sentenza
Il cuore del processo è il 6 novembre 1989, dodici giorni prima dell’omicidio. Tiziana Rota, moglie di Maurizio Lucchetti, compagno di squadra di Bergamini, molto amica di Isabella Internò, va a Cosenza per far conoscere la sua bambina alla donna. «Neanche guardava mia figlia. – dichiara Rota - È altro il suo interesse. Mi disse ti devo parlare, ti devo parlare. Tizia’ l’ho perso, stavolta per sempre». Rota dice morto un papa se ne fa un altro: «No, No Tizia’ è un uomo morto, - ribatte Isabella Internò - lo faccio ammazzare. Se non torna con me lo faccio ammazzare». Isabella Internò non ha mai potuto raccontare al padre e ai cugini dell’aborto al quinto mese di gravidanza eseguito a Londra. Bergamini era disposto a tenerlo, ma non a sposare la ragazza che con ferma volontà decide di abortire. Non può nemmeno dire che al padre si è lasciata con Bergamini. Da qui il movente. Lunedì e martedì toccherà alle parti civili, il 26 e 30 alle difese e l’1 ottobre la sentenza.