Nel 2016 i mass media, non tutti ma molti, associavano con disinvoltura il nome della Juventus con quello della Ndrangheta, lasciando galleggiare nell’aria l’illazione di una certa complicità fra i club e la malavita organizzata, proprio mentre il club denunciava i malavitosi e collaborava fattivamente alle indagini. Il procuratore federale di allora, Giuseppe Pecoraro, in audinzione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, aveva citato un’intercettazione con la quale voleva dimostrare che Andrea Agnelli, allora presidente della Juventus, aveva incontrato un esponente di un clan della Ndrangheta, salvo poi doversi correggere perché quell’intercettazione non esisteva e lu i si era confuso. Oggi si registra un’apprezzabile sobrietà da parte dei media e il procuratore federale Giuseppe Chiné (che, curiosità, all’epoca era il vice di Pecoraro) ha chiesto le carte e, presumibilmente, se le sta leggendo. È un tipo preciso, difficilmente confonderà un’intercettazione per un’altra e non ci saranno figuracce davanti all’antimafia. Poi, quando sarà il momento, capiremo che interpretazione darà alle tante vicende scoperchiata dall’inchiesta milanese sulle infiltrazioni della malavita nelle curve di Inter e Milan.