L'Inter, "quando si rapporta" con Marco Ferdico, capo ultrà finito in carcere due giorni fa, "e in particolare cede alle pressioni" di quest'ultimo, che vuole "ottenere" altri biglietti, "di fatto finanzia" lui e gli altri ultras. Lo scrive la Procura di Milano nella richiesta di custodia cautelare relativa ai 19 arresti, nella quale indica anche tutti i punti che hanno portato all'apertura di un procedimento di prevenzione per il club, così come per il Milan. "Il problema per FC Internazionale - si legge - pare porsi soprattutto sotto un profilo organizzativo: si tratta infatti di rimuovere quelle 'situazioni tossiche' che hanno creato l'humus favorevole perché un ambito imprenditoriale sportivo si trasformasse, in fin dei conti, in occasione di illecito, non potendosi certo pensare che il quadro delineato possa essere spiegato facendo esclusivamente riferimento alla personalità perversa di singole persone". E nemmeno si può "ragionevolmente pensare", spiegano i pm, "che il problema possa essere risolto solo rimuovendo le figure apicali o semi apicali" senza "nulla mutare del sistema organizzativo". E ciò perché "inalterata l'organizzazione, 'i nuovi venuti' si troverebbero nelle medesime condizioni (tossiche) dei loro predecessori e il sistema illecito sarebbe destinato a perpetuarsi". Nell'Inter "vi è una sorta di cultura di impresa, cioè un insieme di regole, un modo di gestire e di condurre l'azienda, un contesto ambientale intessuto di convenzioni anche tacite, radicate all'interno della struttura della persona giuridica, che hanno di fatto favorito, colposamente, soggetti indagati per gravi reati che sono stati in grado di infiltrarsi nelle maglie della struttura societaria".
Le parole di Chiappero
Per debellare lo strapotere degli ultrà nel mondo del calcio servono "azioni congiunte di questure, procure e società". E sarebbe bene smetterla con la "retorica della curva come dodicesimo uomo in campo" perché i gruppi organizzati tendono ad attribuirsi un'importanza che non devono avere. A parlare è Luigi Chiappero, l'avvocato torinese che ha supportato la denuncia della Juventus che ha innescato l'indagine 'Last Banner' poi sfociata in processi e condanne per associazione a delinquere contro la "cupola" che tiranneggiava i supporter bianconeri e che esercitava pressioni sul club. "Se siamo riusciti ad arrivare a questo risultato - dice - è grazie a un lavoro coordinato di procura e questura nell'ambito del quale la Juventus ha fornito il suo contributo. Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza all'interno dello stadio non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva, come i casi dei tifosi costretti dagli ultras ad abbandonare il loro posto. Questo dimostra che le società possono fare la propria parte". L'avvocato è dell'opinione che "il tifo non possa essere lasciato in mano alle curve: se la mia squadra gioca contro il Napoli voglio che vinca e che magari vinca 4-0, ma se partono dei cori come 'Noi non siamo napoletani' io mi sento a disagio perché non ho nulla contro i napoletani". "Allo stadio - aggiunge - tutti hanno diritto a sostenere la propria squadra senza imposizioni e senza derive che nulla hanno a che fare con lo sport. Anche il tifo deve essere di qualità. E le società devono trovare soluzioni per alzarne il livello".