“Tutti volevano essere come Moggi”: Peruzzi, la Juve e la realtà su Calciopoli

“Grazie alla chiamata della società bianconera tornai a vivere”: il leggendario portiere racconta la sua carriera ventennale

Il calcio non fa più per lui - parola sua-, ma dopo una vita sui campi e successi grandiosi, di ricordi stupendi da raccontare ce ne sono eccome. Angelo Peruzzi viene ricordato come uno dei migliori portieri italiani: le vittorie in maglia Juve, il passaggio all'Inter (sofferto, come rivelato qualche settimana fa) e la Lazio. L'ex estremo difensore si è raccontato al Corriere della Sera, tra aneddoti curiosi e rivelazioni. Il Mondiale del 2006, Calciopoli e il rimpianto Real Madrid. E poi la sua favorita per lo Scudetto di quest'anno.

Peruzzi: l'esordio, la squalifica e la telefonata Juve

Peruzzi racconta innanzitutto la scelta di diventare portiere: "La mia maestra elementare, in quinta, organizzò una partitella. Chi va in porta? Silenzio. Allora facciamo così: chi tocca la traversa fa il portiere. Ero il più alto, la sfiorai, sono rimasto tra i pali. Due anni dopo, l’ex romanista Scaratti viene a Capranica, pochi chilometri da casa, per un provino della leva 69. Io guardo da dietro la porta. Poi alla fine fa all’allenatore dell’epoca: e quello? indicando me. Para benino. Cominciò così". E se oggi i portieri "sono più bravi coi piedi che con le mani", Peruzzi viene decisamente ricordato per le sue abilità tra i pali. 

A partire dal debutto in Serie A, datato 13 dicembre 1987 a San Siro, in un Milan-Roma. Occasione decisamente insolita, con un petardo lanciato dalla Sud che sfiora Tancredi, con quest'ultimo che viene colto da un malore e deve essere sostituito. E così arriva il debutto a 17 anni in A con la maglia giallorossa: "Liedholm dice: fate entrare il ragazzino. Tutta la panchina si volta e io che ero l’ultimo, mi volto: vedo i barellieri. Pruzzo dal campo: deficiente, tocca a te". L'anno in prestito al Verona, lontano da casa, poi il ritorno a Roma con un evento shock. Le pasticche per dimagrire a base di fentermina, vietate, il controllo antidoping e la squalifica di 12 mesi. "Ero ingenuo, un 'bambacione'. Finii dentro quella brutta storia. Solo il grande presidente Viola fu gentile con me. Gli altri? Spietati. Tornai a casa: i giornalisti, la vergogna con la gente di Blera. Mesi d’inferno. Ma divenni uomo. Non mi fidai più di nessuno. E poi squillò il telefono". Una telefonata a tinte... 'bianconere'.

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"Anni Juve stupendi", la delusione Inter e la Lazio

Dall'altra parte della cornetta c'era Montezemolo, con la Juve che lo cercava. "Tornai a vivere. Ma poi quella Juve lì saltò per aria e pensai: è finita anche stavolta. Invece Boniperti mantenne la parola e mi chiamò a Torino. Peruzzi, mi disse, capelli corti, vestiti civili. Lei pensi a giocare a tutto il resto pensiamo noi". In bianconero vinse tutto, diventando tra i portieri più forti del mondo: "Campionati, la Champions, le coppe internazionali. Anni stupendi, grandi soddisfazioni. Io il migliore? Ma non scherziamo, dai. Prima c’era Zenga, molto più bravo di me. E poi io ho sempre visto gli altri parare meglio. Toldo, Pagliuca. In Under 21 Antonioli faceva parate che io nemmeno immaginavo".

Dalla Juve all’Inter per seguire Lippi: le cose non andarono per il verso giusto, con gli infortuni di Ronaldo e Vieri ("Io paro, ma l'anno è deludente"). Arrivò la Lazio per rilanciarsi: "Cragnotti, lo scudetto che avevano appena vinto, trenta chilometri da Blera: come potevo dire di no. Sono stato benissimo, anche se poi il club fallì e Lotito ci spalmò i contratti. Ma ero sereno. Stavo bene. Anche se i romanisti dicevano che ero diventato laziale e i laziali che ero romanista".

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"Calciopoli? Tutti volevano essere Moggi"

Prima dell’addio al calcio, il Mondiale 2006. Lippi sceglie Peruzzi come vice di Buffon: "Andai perché volevo giocare. Abbiamo vinto quel Mondiale per due ragioni. La rabbia di molti per la storia di Calciopoli che ci aveva sputtanato a livello internazionale. E quelli che non giocavano o giocavano poco: davamo il massimo in allenamento. Fu quello il segreto del gruppo". E a proposito di Calciopoli: "Non discuto le sentenze. Ma Moggi io me lo ricordo bene: tutti lo cercavano, tutti chiedevano consigli, tutti volevano essere come lui". I guantoni appesi, la breve parentesi da allenatore fino all'esperienza da team manager alla Lazio. L'addio per il rapporto logoro con Lotito? Tutto falso: "Sfatiamo una leggenda: sono andato via in pace. Lui ha il suo carattere, ma pure io: permaloso, tanto. E capoccione, testardo. È finita. Giusto così".

Poi le sentenze di Peruzzi, in generale e sul calcio di oggi. Il migliore di sempre resta "Diego, nessuno come lui". Il portiere migliore? "Facile rispondere, è Dino Zoff. Faceva sembrare tutto facile. Poche parole, solo fatti. Un grandissimo. Come portiere e soprattutto come uomo. oggi chi para meglio? Sono tanti. Sono bravi. Ma sto gioco dal basso mi fa ridere. Dice: serve per fare gol. Se non sbagli però. Se qualcosa va male, hai il nemico in casa. Ma siamo matti?". Una grande carriera per Peruzzi, ma con un unico rimpianto: "Capello mi voleva al Real. A Madrid sarei andato volentieri. Ma poi lui è stato lì solo un anno". Oggi il calcio non fa più per lui: "Faccio tante cose, vedo poche partite, mi annoiano a volte, meglio i boschi, i funghi, la caccia. Lo so, lo so: vivo a Blera, un paesino in provincia di Viterbo. Ma io qui sto bene, sono felice. E per me il posto più bello del mondo. Com’è che si dice? Contento io, contenti tutti". Nonostante il calcio non faccia più parte della sua vita, Peruzzi si lancia in una previsione sul campionato di Serie A in corso: "Chi vince non lo so. Posso dire che Antonio (Conte, ndr) ha una fede dentro che fa la differenza. Vive per quello. Tutti i giorni, sempre".

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Il calcio non fa più per lui - parola sua-, ma dopo una vita sui campi e successi grandiosi, di ricordi stupendi da raccontare ce ne sono eccome. Angelo Peruzzi viene ricordato come uno dei migliori portieri italiani: le vittorie in maglia Juve, il passaggio all'Inter (sofferto, come rivelato qualche settimana fa) e la Lazio. L'ex estremo difensore si è raccontato al Corriere della Sera, tra aneddoti curiosi e rivelazioni. Il Mondiale del 2006, Calciopoli e il rimpianto Real Madrid. E poi la sua favorita per lo Scudetto di quest'anno.

Peruzzi: l'esordio, la squalifica e la telefonata Juve

Peruzzi racconta innanzitutto la scelta di diventare portiere: "La mia maestra elementare, in quinta, organizzò una partitella. Chi va in porta? Silenzio. Allora facciamo così: chi tocca la traversa fa il portiere. Ero il più alto, la sfiorai, sono rimasto tra i pali. Due anni dopo, l’ex romanista Scaratti viene a Capranica, pochi chilometri da casa, per un provino della leva 69. Io guardo da dietro la porta. Poi alla fine fa all’allenatore dell’epoca: e quello? indicando me. Para benino. Cominciò così". E se oggi i portieri "sono più bravi coi piedi che con le mani", Peruzzi viene decisamente ricordato per le sue abilità tra i pali. 

A partire dal debutto in Serie A, datato 13 dicembre 1987 a San Siro, in un Milan-Roma. Occasione decisamente insolita, con un petardo lanciato dalla Sud che sfiora Tancredi, con quest'ultimo che viene colto da un malore e deve essere sostituito. E così arriva il debutto a 17 anni in A con la maglia giallorossa: "Liedholm dice: fate entrare il ragazzino. Tutta la panchina si volta e io che ero l’ultimo, mi volto: vedo i barellieri. Pruzzo dal campo: deficiente, tocca a te". L'anno in prestito al Verona, lontano da casa, poi il ritorno a Roma con un evento shock. Le pasticche per dimagrire a base di fentermina, vietate, il controllo antidoping e la squalifica di 12 mesi. "Ero ingenuo, un 'bambacione'. Finii dentro quella brutta storia. Solo il grande presidente Viola fu gentile con me. Gli altri? Spietati. Tornai a casa: i giornalisti, la vergogna con la gente di Blera. Mesi d’inferno. Ma divenni uomo. Non mi fidai più di nessuno. E poi squillò il telefono". Una telefonata a tinte... 'bianconere'.

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