
Sonnecchia ma non troppo, Livorno, all’alba di un giorno di febbraio. Il sole illumina la città che si sveglia e torna a lavorare, studiare, pensare. Le fabbriche riaprono, gli uffici pure, le scuole anche. I pescherecci sono da poco rientrati e sul lungomare giovani e meno giovani corrono controvento, secondo un modo che si addice ai livornesi, abituati a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a primeggiare soprattutto quando lo sport è passione, impegno spontaneo, agonismo.
Una bandiera, con il simbolo dell’Unione Sportiva, sventola fuori dalla sede del club amaranto intitolato a Mario Magnozzi, uno dei primi eroi del calcio italiano. È il più antico club di tifosi della città. Magnozzi è stato capitano e allenatore del Livorno e del Milan, goleador della Nazionale. Gli annali del calcio ce lo ricordano. Un suo parente, Enzo Magnozzi, figura addirittura nella Hall of Fame del calcio degli Stati Uniti d’America. Ma questo quasi nessuno lo sa.
Livorno è una città strana, piena di contrasti, ma anche di primati. Non è solo la città di Amedeo Modigliani e Pietro Mascagni, Giovanni Fattori e Giorgio Caproni, non è solo la città di Carlo Azeglio Ciampi e del suo omonimo ma non parente Piero Ciampi detto Litaliano, il poeta cantautore che sul letto di morte volle una rosa e un bicchiere di vino rosso. È anche la città di Costanzo e Galeazzo Ciano, gerarchi del fascismo, quest’ultimo marito di Edda, la figlia prediletta di Benito Mussolini. È però il luogo dove nel 1921 nacque il Pci e il tifo calcistico più acceso, quello della curva Nord, si rifà all’ideologia comunista.
Livorno è la città in cui nel 1764 Cesare Beccaria fece uscire “Dei delitti e delle pene”, dove nel 1770 Denis Diderot e Jean Baptiste D’Alembert stamparono “L’Encyclopédie” e dove nel 1847 fu avviata la prima linea telegrafica del Belpaese. È la città che nel 1896 i fratelli August e Louis Lumière scelsero per sperimentare il cinema in Italia. Le leggi livornine, emanate a fine Cinquecento dal granduca di Toscana, Ferdinando I de’ Medici, avevano fatto diventare il porto uno dei maggiori del Mediterraneo e contribuito ad affermare in città quel clima di libertà e tolleranza che la fecero diventare il luogo in cui videro la luce iniziative altrove proibite. Non a caso vi è un detto che suona così: “Se vuoi far come ti pare, vai a Livorno”.
Capitale del basket
Nello sport Livorno è una delle capitali storiche della pallacanestro italiana. Negli anni Ottanta, a un certo punto, è stata perfino l’unica città, con Libertas e Pielle, ad avere due squadre in A1. Ma Livorno è anche altro. È canottaggio, è scherma, è ciclismo, è tiro al volo, atletica, nuoto, boxe, arti marziali, vela, surf, e via dicendo. È tra le prime dieci al mondo per numero di medaglie vinte in competizioni assolute e juniores sommando olimpiadi, mondiali e manifestazioni continentali.
“Maglia amaranto cazzotti e pianto”, cantava l’attore Marco Messeri in una canzonetta che una ventina di anni fa dedicò alla città natale. Era l’epoca in cui il Livorno, grazie ai gol di Igor Protti e Cristiano Lucarelli, sotto la presidenza di Aldo Spinelli, usciva dalla steppa del calcio per riaffacciarsi, dopo oltre mezzo secolo, nel grande palcoscenico della Serie A. In quella frase c’è tutto: l’appartenenza, l’orgoglio, la sofferenza.
I gol di Lucarelli e Protti
I ventidue anni di Spinelli, con sei campionati in Serie A, un sesto posto e una partecipazione alla Coppa Uefa, si sono conclusi nel peggiore dei modi con la squadra retrocessa sul campo e l’iscrizione alla Serie D rifiutata dalle autorità calcistiche. Il lavoro del sindaco Luca Salvetti, nella calda estate 2021, ha portato alla nascita di un nuovo club che, affidato al patron Paolo Toccafondi, è ripartito dall’Eccellenza conquistando subito la Serie D per poi fermarsi. La società, dal luglio 2023, è però del finanziere anglo-brasiliano Joel Esciua che, quest’anno, ha affidato la squadra al mago delle promozioni in C, Paolo Indiani, che per non smentirsi, a dodici turni dalla fine, è primo con dieci punti su Seravezza e
yt6897i dodici sul Grosseto e tredici sul Siena.
«Ancora non abbiamo fatto niente, quando ci sarà l’aritmetica esulteremo. Se possiamo, voglio vincere anche con venti punti di vantaggio», ha detto il mister dopo il successo casalingo ottenuto, domenica scorsa, sul coriaceo San Donato Tavarnelle. Quella vittoria è seguita all’importante pareggio sul difficile campo di Grosseto che ha aperto al Livorno la strada per il Paradiso.
La città dei Quattro Mori, dunque, non solo riprende la vita in una soleggiata ma fredda mattina di febbraio, ma è anche pronta a rialzare la testa nel calcio. Il Livorno sta per celebrare dieci anni e un secolo e lo farà con una serie di eventi, iniziative editoriali e di valorizzazione storica con ex giocatori e allenatori. I collezionisti Ivano Falchini e Miki Garzelli esporranno le loro sterminate raccolte di maglie e cimeli. Ma i grandi protagonisti saranno loro, i tifosi, quelli dei club e quelli della Nord. Quest’ultimi, in modo autonomo, festeggeranno in un locale cittadino.
Una speranza che accomuna tutti, però, c’è. È quella che la maglia vestita, tra gli altri, anche da Max Allegri e Giorgio Chiellini, possa tornare in categorie più consone al blasone. Non è una maglia qualsiasi e questo a Livorno si sa. Di lei, una volta, Armando Picchi disse: «Quando l’ho indossata per la prima volta mi sono sentito nudo perché, sotto, la mia pelle era già amaranto».