Più gioco e meno calcio: così cresce la Kings League

La partita come uno show: è la chiave del successo di uno sport che punta su ritmo, imprevedibilità, regole  e linguaggi in stile videogame
Più gioco e meno calcio: così cresce la Kings League© - Agenzia Aldo Liverani Sas

Ci eravamo lasciati di fronte allo splendido e altisonante caos provocato dalla prima edizione “mondiale” della Kings League, con la finalissima tra Brasile e Colombia andata in scena all’Allianz Stadium lo scorso 12 gennaio. Nel teatro bianconero, più di 40mila spettatori accorsi a Torino da tutta Europa - e non solo - per toccare con mano questo inedito format calcistico che porta la firma dell’ex stella del Barcellona, Gerard Piqué. Un assist “planetario”, o meglio, il miglior spot possibile per promuovere l’irradiazione del fenomeno Kings: dopo il successo delle prime due edizioni spagnole, è stata proprio l’Italia il primo paese europeo a intuirne il potenziale, candidandosi per la creazione di una lega nazionale.
Detto fatto. All’alba della quarta giornata di Kings League Italia, i dati sono a dir poco impressionanti: il numero di spettatori totali - tra Twitch, YouTube e TikTok - ha toccato i 17.63 milioni. Per non parlare delle interazioni sui social che nei primi due mesi del 2025 hanno già superato le 7 miliardi dell’anno scorso. Ma forse occorre fare un passo indietro perché il rischio - comprensibilissimo - che quanto scritto fin qui possa risultare incomprensibile a molti di voi, è dietro l’angolo…

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Il format

Nel 2023 Piqué lancia in Spagna la Kings League, un torneo di calcio a 7 in cui a sfidarsi sono ex calciatori, streamer del mondo del web e sconosciuti. Le squadre - 12 per ogni lega - si affrontano in un girone all’italiana, al termine del quale le prime 7 si qualificano direttamente alla fase successiva, i playoff, destinati poi a culminare - in stile Supercoppa Italiana - con le Final 4. E fin qui nulla di strano, se non fosse per un regolamento folle, volto a offrire al pubblico un prodotto spettacolare a 360 gradi. Si giocano due tempi da 20 minuti in cui può succedere letteralmente di tutto. All’inizio del match le squadre pescano una carta che può dare loro un vantaggio da giocarsi nel corso della partita: dalle card che fanno valere doppio - da quel momento in poi - i gol segnati, a quelle che permettono di togliere un giocatore alla squadra avversaria. Il calcio d’inizio è in stile pallanuoto, con i giocatori che partono da fondo campo per aggiudicarsi il pallone. E poi ancora espulsioni a tempo, dadi giganti lanciati dal pubblico per decretare il numero di giocatori che resteranno in campo o ancora presidenti che scendono dalla tribune (abbandonando temporaneamente le rispettive live streaming) per calciare un rigore.

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Obiettivo: riavvicinare i giovani

In sintesi, un chiaro tentativo di riavvicinare i giovani al calcio offrendo loro un prodotto compatibile con le logiche e i linguaggi tanto cari alle nuove generazioni: quelle del gaming. Da Ciccio Caputo a Nainggolan, passando per Perotti, Siligardi e Palombo: tante le ex stelle che hanno deciso di dedicarsi interamente alla Kings League. Gli incontri - trasmessi gratuitamente su tutti i canali social della Kings League e da quest’anno anche in onda su Sky Sport - si giocano ogni lunedì sera (a partire dalle 18) al centro Vismara, all’interno del quale è sorta la “Fonzies Arena”.
Dimenticatevi i ritmi da vecchi attempati del pallone tipici di quelle partitelle di beneficenza organizzate in tutto il mondo: il calcio offerto dalla Kings League è di altissimo livello. Basti pensare che Ciccio Caputo, nelle scorse settimane, si è speso per dribblare le voci di mercato che racconterebbero di un suo possibile ritorno al calcio professionistico: «Oggi penso solo a questo torneo, ho detto no a due offerte arrivate dalla B...». 

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Un taglio netto tra generazioni

Tra le sfumature più affascinanti del fenomeno Kings League, spicca il cortocircuito generazionale che si è venuto a creare nella sopracitata finalissima del mondiale all’Allianz Stadium di Torino. Dall’alba dei tempi, la cultura dello sport ci ha sempre messi di fronte a uno scenario tanto semplice quanto profondo: il genitore - padre, madre, nonno o zio che sia - che introduce i propri figli in una determinata realtà sportiva, accompagnandoli mano nella mano nei palazzetti, negli stadi, nei maneggi… Un rito di “iniziazione”, una scintilla che può svanire nel nulla come dare vita a una fiamma di condivisione intensa e duratura. Bene, nel caso della Kings League - per la prima volta nella storia dello sport - è successo esattamente il contrario.
A portare gli adulti all’Allianz sono stati “i figli”, entusiasti dall’idea di poter “iniziare” i propri cari (almeno per una volta) a un mondo a loro ignoto. Un esperimento riuscito, visto il palpabile entusiasmo che si respirava a gennaio tra le tribune dello Stadium. Persino chi ha deciso di prendere parte all’evento per avere la certezza definitiva che il proprio scetticismo nei confronti della Kings League fosse fondato si è dovuto ricredere. Del resto è semplice: Piqué non ha nessuna intenzione di mettersi a concorrere con il calcio professionistico.

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Concetto poco chiaro

Il suo è uno show sportivo, sì, ma che vive di regole, logiche, linguaggi completamente diversi dal calcio tradizionale. Eppure questo concetto non pare così chiaro a tutti, a cominciare dai cosiddetti “boomers”, convinti che il torneo dell’ex blaugrana possa minacciare una delle poche realtà che - seppur con le dovute proporzioni - resiste tuttora al decadente logorio della società moderna. Per quanto assurdo - viste le miliardi di interazioni registrate negli ultimi mesi sui vari social - non tutti i feed Instagram d’Italia, infatti, sono popolati dagli highlights del torneo di Piqué. Se una grossa fetta di pubblico incomincia a percepire il “monday night della Kings League” come un appuntamento fisso, un rito utile a scandire il ritmo delle settimane che passano; ce n’è un’altra altrettanto grande che si sta perdendo questo fenomeno globale. Da qui in poi, la sfida che dovranno porsi gli organizzatori è proprio questa: cercare di ingaggiare i più nostalgici e fedeli fan del pallone, per spiegare loro che la Kings è molto più di un semplice “circo di pagliacci e creature feroci”, come descritto da alcuni. Basta essere curiosi. Del resto, provare non costa nulla... 

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Ci eravamo lasciati di fronte allo splendido e altisonante caos provocato dalla prima edizione “mondiale” della Kings League, con la finalissima tra Brasile e Colombia andata in scena all’Allianz Stadium lo scorso 12 gennaio. Nel teatro bianconero, più di 40mila spettatori accorsi a Torino da tutta Europa - e non solo - per toccare con mano questo inedito format calcistico che porta la firma dell’ex stella del Barcellona, Gerard Piqué. Un assist “planetario”, o meglio, il miglior spot possibile per promuovere l’irradiazione del fenomeno Kings: dopo il successo delle prime due edizioni spagnole, è stata proprio l’Italia il primo paese europeo a intuirne il potenziale, candidandosi per la creazione di una lega nazionale.
Detto fatto. All’alba della quarta giornata di Kings League Italia, i dati sono a dir poco impressionanti: il numero di spettatori totali - tra Twitch, YouTube e TikTok - ha toccato i 17.63 milioni. Per non parlare delle interazioni sui social che nei primi due mesi del 2025 hanno già superato le 7 miliardi dell’anno scorso. Ma forse occorre fare un passo indietro perché il rischio - comprensibilissimo - che quanto scritto fin qui possa risultare incomprensibile a molti di voi, è dietro l’angolo…

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