Spalletti, Totti e Ilary Blasi: “Io piccolo uomo, lei piccola donna”

“Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”: tutte le verità del ct azzurro nella sua autobiografia

Arriva la verità di Luciano Spalletti. Dopo otto anni l'attuale Commnissario Tecnico dell'Italia ha raccontato ciò che, dal suo punto di vista, è accaduto con Francesco Totti nella sua seconda esperienza giallorossa, che si concluse proprio con l'addio al calcio della leggenda romanista. Il ct, che da tempo ha fatto pace con l'ex 10 giallorosso, non ha lesinato un commento neppure sull'offesa ricevuta da Ilary Blasi, a suo tempo compagna di Totti e oggi ex moglie. Spalletti ha parlato di tutto questo in una biografia scritta con Giancarlo Dotto, intitolata “Il paradiso esiste... Ma quanta fatica”, da oggi in libreria e edito da Rizzoli. Tra gli argomenti sviscerati nel suo libro da Spalletti anche il complesso rapporto con Aurelio De Laurentiis nell'anno dello Scudetto vinto con il Napoli, senza dimenticare quanto vissuto all'Inter con Mauro Icardi e Wanda Nara.

 

Spalletti, la verità su Totti. E quel 'piccolo uomo'...

Spalletti definisce Totti “come un figlio”. All'interno del suo libro l'attuale ct racconta come l'accordo con la Roma per la sua gestione fosse diverso: “Il mito di Totti, la bandiera, erano aspetti che andavano gestiti dalla società, non da me. L’avevo chiesto con chiarezza al mio ritorno. Non mi si doveva mandare al massacro in quell’uno contro tutti”. Poi aggiunge: “A lui non l’ho mai detto, ma in quei giorni ho sognato che mi veniva incontro dicendomi che aveva capito le mie ragioni”.

Spalletti racconta anche di quel che è accaduto con l'ex moglie della leggenda giallorossa, Ilary Blasi, che a suo tempo in un'intervista lo definì 'piccolo uomo'. In merito a questa vicenda Spalletti si dice fortunato di avere una compagna che non si è intromessa mai con la stessa "arroganza e maleducazione" nel suo ambito lavorativo. Poi chiarisce: “Può capitare, nel corso di una vita, di essere un piccolo uomo o una piccola donna. Certamente lo è stata lei quando si è permessa di rivolgersi a me in quel modo. Cosa della quale – immagino – si sarà pentita”.

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Il rapporto con De Laurentiis e "le due partite"

Dalla Roma al Napoli, e al rapporto con Aurelio De Laurentiis nell'anno del Tricolore vinto coi partenopei: "Ho chiuso con il passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il mio passato. Sono andato via perché non avevo più la voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, a cui la città deve tanto, ma con un ego molto, forse troppo grande. Aurelio De Laurentiis.  Il presidente era quello che metteva la ceralacca sulle cose, su tutto, che certificava se una scelta era giusta o meno. Ero stanco di fare battaglie per ogni questione. Che fosse dare una maglia ai giocatori che la chiedevano per i loro figli o il dover cambiare gli alberghi di continuo per i motivi più disparati. Anche in questo, il Sultano sapeva sorprenderci. L’uomo, si sa, è molto estroso. Imprevedibile. Capace di quel ragionamento in più che ti spiazza. Come quella volta, agli inizi della mia storia al Napoli. Il nostro albergo abituale era in corso Vittorio Emanuele". 

Spalletti scende nel dettaglio: "Arriva la Juventus e ci viene comunicato che dobbiamo cambiare «casa». Uno sfratto esecutivo. Noi veniamo dirottati in un altro hotel in centro, scomodo per lo spostamento verso lo stadio, con i naturali dubbi che una mossa del genere può far nascere nei calciatori. Tipo quello che sulle nostre abitudini comandino gli avversari. Quell’anno, questo cambio forzato si verificò varie altre volte: avemmo a che fare con quattro-cinque strutture diverse.  Insomma, in tutta la mia storia a Napoli, ho giocato due partite contemporanee: quella con gli avversari e l’altra con il presidente. Un confronto costante, spesso al confine dello scontro".

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Il silenzio di ADL 

Il racconto dell'attuale ct azzurro scende nei dettagli del rapporto con De Laurentiis: "La stagione dello scudetto, alla vigilia di una partita difficile, il presidente mi scrisse, secondo lui per motivarmi: «Puoi andare dodici punti da solo in testa, carica i ragazzi!». Aveva aperto il rubinetto dell’acqua calda. Gli risposi: «Grazie del prezioso consiglio, presidente, ne terrò conto». Il suo amore per il Napoli, quell’anno, lo dimostrò soprattutto quando cessò non solo di commentare le formazioni ma anche di parlare in pubblico, ai giornalisti. Fu un silenzio che fece rumore. Il più grande sacrificio per uno come lui, intrattenitore e uomo di spettacolo che ama occupare il centro della scena".

Spalletti prosegue: "Il Napoli stava marciando alla grande, giocava un calcio bellissimo e riconosciuto nel mondo, tutto filava alla perfezione e lui, uomo arguto come pochi, capì in fretta che tanta bellezza avrebbe trascinato altrettanta economia. Possiamo dire che il suo eroico silenzio, la sua scelta di non parlare con i media, fece il paio con la mia di vivere come un monaco nel rifugio di Castel Volturno. Due uomini molto diversi che facevano il loro voto di castità alla causa del Napoli. Ognuno a modo suo".

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"Napoli, sarei rimasto!"

L'ex tecnico del Napoli racconta come "Forse, devo immaginare, fu quella stessa ritrosia, quella stessa voglia di non figurare da protagonista, che lo spinse a non farsi sentire la sera dello scudetto. L’eccesso di riservatezza lo indusse a non farsi vivo nemmeno con una telefonata per condividere se non altro l’impresa, mentre la città intera impazziva di gioia. Non telefonò la sera che vincemmo il campionato. Né all’allenatore, né ai giocatori, né al direttore, né al team manager. Non telefonò a nessuno. Troppo impegnato a giocare la sua partita personale sul prato festante del Maradona. Tutte quelle sterzate nel giro di campo in solitaria lo avevano distrutto. Telefonò il giorno dopo, perché aveva programmato di farci atterrare all’aeroporto militare di Grazzanise anziché a Capodichino. E in questa telefonata ci chiese, da uomo educato qual è, com’era andato il viaggio. Seguì un nuovo silenzio".

Dopo altri dettagli raccontati, come quelli relativi alle questioni contrattuali, Spalletti chiosa: "Ancora oggi in tanti mi chiedono: «Ma se il presidente si fosse comportato diversamente allora, se avesse mostrato maggiore attenzione e sensibilità, avresti fatto una scelta diversa? Saresti rimasto al Napoli?». Domanda che ho sempre lasciato cadere. La risposta è sì, se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa ci volesse per rivincere, alla fine sarei rimasto".

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Icardi, da capitano Inter ai problemi

Facendo un balzo indietro nella sua carriera, Spalletti torna a quanto vissuto all'Inter. All'epoca il capitano era Mauro Icardi, a cui nel suo secondo anno però tolse la fascia dandola a Samir Handanovic. Il motivo? Lo spiega proprio lui: "Mauro Icardi era il capitano. Calciatore fantastico, un rapace come pochi in area di rigore. Ricordo i suoi bellissimi gol nei derby, tra tutti quello segnato di testa in pieno recupero su cross di Vecino. Mauro fu un protagonista fondamentale di quella mia Inter".  E ancora: "Potendo contare su uno così bravo in area di rigore, decidemmo di portare avanti un calcio diverso da quello di Roma e Udinese, un calcio con più costruzione dal basso, avvolgente, per mettere Icardi nelle condizioni di essere più vicino alla porta e far male agli avversari. Non può contare su una ripartenza cattiva, Icardi, e viene incontro poco: è un Filippo Inzaghi più potente, un buitre dell'area di rigore. E lo è ancora oggi in Turchia, a distanza di anni". 

Spalletti spiega quale fu l'origine dei problemi: "Il passaggio veramente critico all'Inter fu quando Wanda Nara, la moglie del capitano, andò a dire in televisione cose che non avrebbe dovuto dire contro i compagni di squadra di Mauro. È vero che era il suo procuratore, però era anche sua moglie. Era febbraio 2019, ci trovavamo nel bel mezzo del campionato. Fu devastante. Non avevo scelta, dovevo fare qualcosa per la squadra, dovevo proteggerla. Lo spogliatoio era rotto e non si poteva fare come Ponzio Pilato, bisognava schierarsi. Io sono un allenatore-chioccia, devo sempre tutelare i miei giocatori, è più forte di me".

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"Le parole di Wanda Nara furono una bomba"

Spalletti ebbe un colloquio con alcuni giocatori: "Da chioccia ci metto un istante a diventare tigre. La mattina successiva furono diversi i calciatori a venire nel mio ufficio a parlarmi di questa vicenda. C'era anche Handanovic, un uomo verticale, dalla personalità di ferro. Insomma, non si poteva far finta di nulla, né si poteva stare li a incollare i pezzi. Non c'era verso. Tant'è. La grande maggioranza dei tifosi lo capì e mi sostenne. Che io non sapessi tenere uno spogliatoio e non sapessi gestire i campioni fu più che mai una critica ingiusta e gratuita".

Ma quando precipitò il tutto? "Quando, cioè, mi resi conto che la debolezza del nostro capitano si chiamava Wanda e rischiava di portare a fondo tutto il gruppo. E questo non potevo tollerarlo. Mauro in quel momento stava attraversando un momento calcisticamente difficile, le cose non giravano come avrebbe voluto. Non riusciva a segnare come faceva di solito. Lei disse che, se si voleva che Icardi facesse più gol, bisognava acquistare giocatori che lo aiutassero a farli. Avere giocatori migliori, insomma, il concetto era questo. Insopportabile. Una bomba. Era una di quelle dichiarazioni che non si potevano liquidare con un WhatsApp, una storia su Instagram o un like; per rimettere le cose a posto occorreva parlare guardandosi negli occhi, alla vecchia maniera".

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"Via la fascia: persi l'uomo e il calciatore"

Poi l'inevitabile: "C'era un solo modo per evitare una guerra nello spogliatoio: le scuse di Mauro Icardi. Non arrivarono mai. Il giorno dopo chiesi al capitano, davanti a tutti i compagni, di spiegare le parole di Wanda Nara. Di giustificarle in qualche modo. Mi sembrava il minimo, come forma di rispetto per gli altri. Mauro rispose che a parlare non era stata la moglie Wanda, ma il suo procuratore Nara, e che l'aveva fatto esclusivamente a questo titolo". 

Infine la conclusione che tutti conoscono: "Era impossibile gestire la situazione. Non c'era verso. Dovetti dirgli due cose, togliergli la fascia di capitano e darla ad Handanovic. Il consenso della società c'era, ma era silente. Lui la prese male, molto male. Di fatto, per non perdere la squadra, persi Icardi, l'uomo e il calciatore. Trovavo umiliante per tutti i tifosi nerazzurri dover mediare con un calciatore per convincerlo a indossare la maglia dell'Inter".

 

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Arriva la verità di Luciano Spalletti. Dopo otto anni l'attuale Commnissario Tecnico dell'Italia ha raccontato ciò che, dal suo punto di vista, è accaduto con Francesco Totti nella sua seconda esperienza giallorossa, che si concluse proprio con l'addio al calcio della leggenda romanista. Il ct, che da tempo ha fatto pace con l'ex 10 giallorosso, non ha lesinato un commento neppure sull'offesa ricevuta da Ilary Blasi, a suo tempo compagna di Totti e oggi ex moglie. Spalletti ha parlato di tutto questo in una biografia scritta con Giancarlo Dotto, intitolata “Il paradiso esiste... Ma quanta fatica”, da oggi in libreria e edito da Rizzoli. Tra gli argomenti sviscerati nel suo libro da Spalletti anche il complesso rapporto con Aurelio De Laurentiis nell'anno dello Scudetto vinto con il Napoli, senza dimenticare quanto vissuto all'Inter con Mauro Icardi e Wanda Nara.

 

Spalletti, la verità su Totti. E quel 'piccolo uomo'...

Spalletti definisce Totti “come un figlio”. All'interno del suo libro l'attuale ct racconta come l'accordo con la Roma per la sua gestione fosse diverso: “Il mito di Totti, la bandiera, erano aspetti che andavano gestiti dalla società, non da me. L’avevo chiesto con chiarezza al mio ritorno. Non mi si doveva mandare al massacro in quell’uno contro tutti”. Poi aggiunge: “A lui non l’ho mai detto, ma in quei giorni ho sognato che mi veniva incontro dicendomi che aveva capito le mie ragioni”.

Spalletti racconta anche di quel che è accaduto con l'ex moglie della leggenda giallorossa, Ilary Blasi, che a suo tempo in un'intervista lo definì 'piccolo uomo'. In merito a questa vicenda Spalletti si dice fortunato di avere una compagna che non si è intromessa mai con la stessa "arroganza e maleducazione" nel suo ambito lavorativo. Poi chiarisce: “Può capitare, nel corso di una vita, di essere un piccolo uomo o una piccola donna. Certamente lo è stata lei quando si è permessa di rivolgersi a me in quel modo. Cosa della quale – immagino – si sarà pentita”.

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