"Chiusi nello spogliatoio, in migliaia volevano ucciderci": Indonesia, il racconto shock di un calciatore

La testimonianza di Abel Bissa Camara, giocatore dell'Arema, dopo i drammatici scontri seguiti alla sconfitta contro il Persebaya Surabaya che hanno causato più di 170 vittime
"Chiusi nello spogliatoio, in migliaia volevano ucciderci": Indonesia, il racconto shock di un calciatore© EPA

BANGKOK (INDONESIA) - Mentre le autorità aggiornano il bollettino dei morti (al momento il dato ufficiale parla di 174 vittime) e negli ospedali si continuano a curare decine di feriti, arrivano le prime testimonianze della tragedia andata in scena in Indonesia con i drammatici scontri tra tifosi e polizia avvenuti a Malang, nella provincia di Giava Orientale. A scatenare il caos l'invasione di campo da parte dei sostenitori dell'Arema Fc (che ospitava il match perso 3-2 contro i gli storici rivali del Persebaya Surabaya) e il successivo lancio di gas lacrimogeni da parte della polizia, con tantissime persone decedute nella calca che ne è conseguita.

Panico e terrore

"Durante la settimana si parlava già molto di questa partita, era una questione di vita o di morte - ha raccontato Abel Bissa Camara, calciatore della Guinea-Bissau in forza all'Arema Fc, agli spagnoli di 'Marca' -. Dopo il match gli avversari hanno lasciato subito lo stadio e noi siamo andati a chiedere scusa ai tifosi che sono però entrati in campo, così ci siamo chiusi negli spogliatoi. Abbiamo iniziato a sentire urla e spari e a vedere molto fumo. Inoltre alcuni tifosi sono riusciti a entrare nel nostro spogliatoio e sono morti proprio lì". E quando il caos è finito la scena che si è presentata di fronte agli occhi dei calciatori usciti dallo spogliatoio è stata agghiacciante: "Abbiamo visto un sacco di sangue - ha spiegato ancora Camara - scarpe, tennis, vestiti ovunque. La polizia ci ha comunicato che due nostri compagni di squadra erano morti. Non lo auguro a nessuno. Essere lì dentro significava temere per la nostra vita con 40 o 50.000 persone fuori che volevano le nostre teste".

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