Presidente, come vede il futuro del calcio europeo?
«È una domanda che potrebbe richiedere una lunga risposta. Ma proverò a semplificare il concetto: negli ultimi vent’anni è arrivata una nuova generazione e il mondo è cambiato, tutto è cambiato nelle nostre vite, il calcio quindi non può non adeguarsi. Il calcio è l’unico sport veramente universale e globale, non possiamo permettere che altri sport che sono più organizzati e orientati al cambiamento e alla modernità possano sfruttare questo per togliere al calcio questa situazione di privilegio. Sto lavorando, come i miei predecessori e quelli ancora prima, per adeguarmi ai tempi che vivo: non possiamo consentire che i giovani amino sempre di meno il calcio perché le partite che offriamo sono meno attraenti e coinvolgenti. Non possiamo permetterlo, dobbiamo riflettere tutti insieme e dare ai giovani, che rappresentano il futuro, anche del calcio, quello che loro si aspettano da noi. Stiamo lavorando a questo e lotterò con tutta la mia forza perché il calcio non perda la sua posizione di privilegio e perché continui a essere il re degli sport in tutti i continenti».
Il Santiago Bernabeu, che state ristrutturando in modo spettacolare, avrà mai il suo nome? Ci sarà mai il Bernabeu-Perez?
«Mai! Lo stadio si chiamerà Santiago Bernabeu per tutta la sua vita. È lui che ha creato tutto questo, noi siamo dei prosecutori della sua opera. È lui che nel 1947 ha avuto l’idea di costruire questo stadio, all’epoca un progetto ambiziosissimo, è stato lui il primo a far viaggiare la squadra in America quando sembrava una follia, tutto quello che siamo adesso lo dobbiamo a lui. E poi il nome dello stadio è ormai un “marchio”. I giovani magari non sanno chi è stato Bernabeu, ma dicono: ci vediamo al Bernabeu. Se vogliono posso dedicarmi il centro sportivo, ma lo stadio sarà sempre Santiago Bernabeu».