Musica maestri
«La colonna sonora del trionfo Mundial? Intanto “Vayas donde vayas”, ma non solo. Dalla Copa América 2021 abbiamo una playlist che ascoltiamo e ci fa sentire bene. Sono momenti speciali per noi e “Vayas donde vayas” ci ha accompagnato in Copa América, nella Finalissima di Wembley contro l’Italia e in questo Mondiale. La ascoltavamo ovunque: in ritiro, in spogliatoio, poco prima di scendere in campo. In pullman avevamo sempre tre o quattro canzoni pronte, che cantavamo tutti, a squarciagola. “Muchachos” è una di quelle. Mi fa sorridere che la gente, in giro per il mondo, abbia iniziato a festeggiare compleanni, lauree, anniversari di matrimonio proprio come io ho festeggiato in Qatar la Coppa del mondo. Penso che le emozioni che abbiamo regalato tra novembre e dicembre abbiano contribuito a migliorare la vita delle persone. Non parlo solo del trionfo finale, ma di ogni vittoria, di ogni passo a cui ne seguiva un altro. Dopo ogni partita la gente usciva in strada per divertirsi e festeggiare. Diventare campioni del mondo è stato un momento molto speciale per gli argentini: l’avete cpito anche dai festeggiamenti, no? Diverse generazioni, adulti, bambini, neonati, c’era di tutto. E vedere le facce, comprendere le loro emozioni è stato qualcosa di incredibile. Ecco perché nei compeanni, nelle lauree, negli anniversari di matrimonio, nei trionfi delle squadre argentine come ad esempio il Racing Club di Pillud in Supercoppa si festeggia “come Messi in Qatar”. Ovviamente, tutto questo mi sembra spettacolare. Come è nato, come m’è venuto quel passettino mezzo accovacciato con tutti i compagni che mi aspettano? Non lo so, è venuto spontaneo dopo il trionfo del Maracanã in Copa América contro il Brasile: volevo qualcosa di diverso dal solito. Ho visto che i ragazzi mi stavano aspettando con la Coppa e ho improvvisato. M’è piaciuto, ci è piaciuto e lo abbiamo ripetuto nella Finalissima di Londra. Ovviamente Doha, il Qatar e il Mondiale non potevano essere da meno... Se ho avuto paura di non farcela? Sì, ovviamente sì, anche se eravamo sicuri di quello che valeva il gruppo e di quello che avremmo potuto fare anche dopo la sconfitta con l’Arabia Saudita. Ovviamente avevamo tutti un gran cagazo, una paura fottuta: dopo il ko al debutto se non vincevi la seconda con il Messico iniziavi già a dipendere dagli altri. Lì si è dimostrata la forza del gruppo. Nell’intervallo della sfida contro la Tricolor ricordo di aver parlato ai miei compagni e di aver detto loro che sapevo che la situazione in cui ci trovavamo era difficile, ma ne saremmo usciti. Dissi loro di dimenticare la musica che stavamo suonando fino a quel momento e di tornare a suonare come facevamo sempre. Venivamo da 35 partite senza perdere e sapevamo che se avessimo fatto le cose come stavamo facendo saremmo stati superiori al Messico, eravamo certi che se avessimo giocato con tranquillità e pazienza avremmo vinto. La finale contro la Francia? Abbiamo giocato una partita divina, fantastica. Non è la prima volta che lo facciamo, ma trattandosi di una finale di Coppa del Mondo e contro la Francia, è molto più importante. Ma non è qualcosa che ci sorprende perché sapevamo di esserne capaci. La parata del Dibu Martínez? È stato tutto così veloce che in quel momento non l’ho vissuta nel modo giusto, dandole l’effettivo valore: capitemi, siamo ripartiti immediatamente in contropiede e l’azione si è conclusa con un colpo di testa di Lautaro sul fondo. Ho capito, e sofferto, di più dopo aver rivisto la parata in tv e sui social».