Giraldi: "Italia indietro rispetto alla Premier. E non è soltanto questione di soldi"

Il direttore dell’area tecnica al Nottingham Forest non è tenero con il nostro calcio: "Qui storia e futuro"
Giraldi: "Italia indietro rispetto alla Premier. E non è soltanto questione di soldi"© GettyImages

Sherwood e Robin Hood. The Tricky Trees e The Garibaldi Reds. La fusione quasi onirica di Storia e leggenda che diventa sintesi, confl uendo nell’epopea calcistica di Brian Clough e del suo vice Peter Taylor. Oltre che un patrimonio d’inestimabile valore per i più nostalgici, il Nottingham Forest è divenuto manna dal cielo per gli storytellers di ogni ordine e grado, che negli anni hanno compulsato fonti e saccheggiato archivi per avvalorare la narrazione del mito. Il club che ha vinto più Coppe dei campioni che campionati in patria, è tornato in Premier League dopo 23 anni anni di purgatorio e al timone del club, tra i più iconici del football britannico, c’è il direttore sportivo Filippo Giraldi. L’armatore greco Evangelos Marinakis è il controverso ed ambizioso proprietario della società nata nel 1865. E il diesse italiano, il suo braccio operativo del pallone.

Tra orgoglio e responsabilità, avverte il peso di un passato tanto ingombrante?

«La Storia si respira già arrivando allo stadio. È un’atmosfera che proietta automaticamente in un’altra dimensione e ripaga degli sforzi per essere all’altezza della situazione. A diff erenza di tanti stadi avveniristici, il City Ground è rimasto com’era, in ossequio alla tradizione e in ogni partita sono presenti trentamila spettatori».

La liturgia laica della Premier League ai confini del metaverso. È realmente un altro mondo?

«Per ora posso ritenermi fortunato: ho trovato persone appassionate e partecipi che mi hanno affi dato un mandato pieno. Il presidente è ad Atene ma ha gli uffi ci a Londra e si tiene costantemente aggiornato su tutte le nostre dinamiche. Lui e suo fi glio non hanno mai fatto mancare il sostegno alla squadra. Nel corso degli anni qualche errore si commette, ma la gente li ama perché è tornata a vivere da protagonista».

L’avvio choc della squadra era stato messo in preventivo, i punti che siete riusciti a portar via a City, Liverpool e Chelsea molto meno.

«In molti hanno pagato a caro prezzo il salto di categoria. È vero, l’inizio è stato tremendo: quattro punti nelle prime otto partite potevano subito far vacillare la fi ducia nell’operato di Steve Cooper. Eppure l’allenatore ha subito ricevuto rassicurazioni del club, ha registrato la fase difensiva e sono arrivati i miglioramenti. Anche questa è una diff erenza tra il Forest e molte realtà, comprese alcune italiane».

Si potrebbe incidentalmente sottolineare i trenta acquisti effettuati in sei mesi, tra i quali Keylor Navas, Aurier, Lingard, Lodi, Shelvey e Freuler: un calciomercato bulimico ed impensabile per la più munifica delle nostre società. Che sia più semplice migliorare con 200 milioni di euro di investimento?

«I soldi sono importanti, ma non bastano se non si dà continuità al lavoro. È vero: in gennaio abbiamo aggiunto gente esperta nell’organico, ma ciò signifi - ca poco. Qui quasi tutti sono in grado di spendere ma non si salveranno tutti. Specie in Inghilterra le neopromosse fanno fatica, però battere le neopromosse è faticoso. Non ha senso parlare dei segreti di una promozione, mantenere nel tempo un buon livello di competitività è la sfi da più complicata».

A proposito dell’impietoso paragone con l’Italia, resta da capire come sia possibile intraprendere un percorso virtuoso senza scimmiottare il modello inarrivabile dell’Nba del calcio. È un processo reversibile alle nostre latitudini?

«Certo. Bisogna ripartire dalle infrastrutture e dalla formazione degli allenatori. Abbiamo tecnici capaci ma intrisi di nozioni e dogmi, prigionieri di un tatticismo esasperato. Senza contare come i nostri ragazzi si allenano: siamo indietro anche col pensiero. In troppe analisi sulla crisi del movimento italiano sento ripetere questa frase: «Tutti ci invidiano Coverciano». Ma chi la invidia? Dove? Forse era così fino a una ventina di anni fa, molte realtà sono profondamente cambiate senza che ce ne accorgessimo. E non solo in Inghilterra. Vedo allenamenti di ragazzi che giocano, quando va bene, in una metà campo striminzita e allenamenti sospesi per pioggia. Le vere differenze sono di mentalità, ma ci sarebbe molto altro».

Infierisca pure.

«La verità è anche che vendiamo male il prodotto. L’anticipo della domenica in Italia è spesso uno spettacolo disarmante, con gli stadi desolatamente vuoti. Perché dovrebbe avere appeal internazionale un evento così, se persino gli italiani lo snobbano? Se lo spot diventa autogol, è inutile».

Di tornare a casa non se ne parla, a lume di naso…

«Prima o poi succederà sicuramente, ma solo a determinate condizioni. Detesto la parola “progetto”, ma ancor di più improvvisare».

Chi la spunterà nel duello tra Arteta e Guardiola?

«Continuo a ritenere che il City abbia una rosa superiore, ma i segnali delle ultime partite mi sembrano incontrovertibili e tutto mi induce a dire che sarà l’anno dell’Arsenal».

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