La Palestina in campo oltre le bombe di Israele su Gaza

Mentre imperversa la guerra, la nazionale palestinese è tornata a giocare nelle qualificazioni al prossimo Mondiale
La Palestina in campo oltre le bombe di Israele su Gaza

Neanche la guerra è riuscita a fermare il calcio. La forza dello sport va oltre tutto quello che sta succedendo nella striscia di Gaza per la nazionale palestinese, impegnata nel girone I dell’AFC per le qualificazioni al Mondiale. Dopo lo 0-0 nella gara d’esordio contro il Libano giocata al Khalid Bin Mohammed di Sharja, Emirati Arabi Uniti, è arrivato il ko 1-0 contro l’Australia, match disputato al Jaber Al-Ahmad di Al Kuwait, capitale dell’omonimo emirato. L’unica rete della partita è stata segnata da Harry Souttar, difensore australiano con cittadinanza scozzese che in Premier League veste la maglia del Leicester City. La classifica recita: Australia 6 punti, Libano 2, Palestina e Bangladesh 1. Ma questa è solamente la seconda fase delle qualificazioni (se ne prevedono cinque) e alla terza andranno le prime due di ogni girone. 

La kefia della Palestina e l'Australia dona per Gaza

La nazionale israeliana ha mandato in onda in televisione e sui social le immagini di giocatori che entrano in campo senza mascotte, alludendo ai bambini e alle bambine rapite da Hamas lo scorso 7 ottobre. Quella palestinese è scesa in campo con la kefiah al collo, uno dei simboli del loro patriottismo, un simbolo politico sul quale la FIFA al momento non è intervenuta. Di contro i giocatori della nazionale australiana hanno deciso di donare i premi destinati loro dalla federazione alle organizzazioni umanitarie che sono attualmente attive nella striscia di Gaza: «È davvero difficile da comprendere – ha spiegato il centrocampista dei Socceroos, Jackson Irvine, presidente del sindacato calciatori australiano, Pfa –. Qui si tratta di una delle questioni geopolitiche più complicate degli ultimi cento anni. I nostri pensieri sono rivolti a tutti coloro che sono stati colpiti dal conflitto e dalla crisi umanitaria derivante». 

Bangladesh e Libano gli ostacoli alla qualificazione

La Nazionale palestinese, guidata dal tunisino Makram Daboub, ha una rosa di giocatori che militano per lo più in squadre locali, con una decina di elementi che giocano in Africa, piuttosto che in Europa o negli Stati Uniti. Non ha mai superato il primo turno della Coppa d’Asia, quando qualificata alla fase finale, e ha vinto solamente l’AFC Challenge Cup nel 2014, battendo in finale le Filippine per 1-0, grazie alla rete di Ashraf Nu’man, mezzala dello Shabab Al-Khalil SC. A marzo affronterà la doppia sfida con il Bangladesh, mentre il Libano se la dovrà vedere con l’Australia, una ghiotta occasione per mettere punti in cascina e sperare di passare il turno come seconda classificata, restando decisiva la sfida con il Libano del prossimo giugno. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un videomessaggio di speranza

E se il calcio e la guerra possono mischiarsi, così agevolmente, lo possono anche fare portando messaggi di conforto e speranza. È quello che è accaduto ad Asef Abu Mahadi, bambino palestinese che vive nella striscia di Gaza: ferito durante un bombardamento israeliano si è visto amputare un piede in seguito alle ferite riportate. Il suo sogno è stato sempre quello di giocare a pallone e tra i tanti idoli che poteva scegliere il suo preferito è Yassine Bounou, portiere della Nazionale marocchina e dell’Al-Hilal, squadra della Saudi Pro League, dopo quattro stagioni al Siviglia, club con il quale ha vinto due Europa League. E l’anno scorso anche il trofeo Zamora, assegnato al miglior portiere della Liga. 

L’utopia che si realizza

Pensare di incontrare il proprio idolo durante una guerra è un’utopia, ma la tecnologia è venuta in soccorso di Asef Abu Mahadi, il quale, grazie a una serie di intrecci, ancora tutti da decifrare, ha potuto parlare con Bounou attraverso il video di un cellulare. È stata una videochiamata di pochi minuti, nei quali gli occhi grandi del bambino si sono fusi con quelli del numero uno, per attimi di emozione assoluta, un’emozione che alla fine ha sopraffatto Asef, il quale ha cercato di nascondere le lacrime dietro un fazzoletto di carta: «Mi sento scioccato», avrebbe detto nella traduzione letterale dove shocked può significare anche colpito, impressionato. Il bambino palestinese spera di continuare le cure e di andare via dalla striscia di Gaza per continuare a inseguire la propria passione per il calcio, una passione che, oggi, grazie al calcio per amputati, nemmeno una menomazione come la sua può impedirgli di realizzare il sogno

Una buona azione, di parte

È giusto, infine, ricordare che il Marocco è stato sempre vicino alla causa palestinese e che questi messaggi, per quanto liberi e spontanei, in questo momento sono parte di una propaganda che tende a spostare l’opinione pubblica da una parte o dall’altra; con il tifo europeo che ha fatto pienamente la sua parte. Al netto di tutto questo, Yassine Bounou ha compiuto una buona azione, quelle che vorremmo vedere più spesso da chi ha il privilegio di scegliere dove giocare, dove abitare e che non deve sottostare ad alcun diktat politico o militare. E chissà se un giorno Asef Abu Mahadi potrà incontrare il suo idolo in carne e ossa, magari facendogli un gol in rovesciata appoggiandosi alle stampelle. Sognare non costa nulla e allontana dall’orrore della guerra.

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Neanche la guerra è riuscita a fermare il calcio. La forza dello sport va oltre tutto quello che sta succedendo nella striscia di Gaza per la nazionale palestinese, impegnata nel girone I dell’AFC per le qualificazioni al Mondiale. Dopo lo 0-0 nella gara d’esordio contro il Libano giocata al Khalid Bin Mohammed di Sharja, Emirati Arabi Uniti, è arrivato il ko 1-0 contro l’Australia, match disputato al Jaber Al-Ahmad di Al Kuwait, capitale dell’omonimo emirato. L’unica rete della partita è stata segnata da Harry Souttar, difensore australiano con cittadinanza scozzese che in Premier League veste la maglia del Leicester City. La classifica recita: Australia 6 punti, Libano 2, Palestina e Bangladesh 1. Ma questa è solamente la seconda fase delle qualificazioni (se ne prevedono cinque) e alla terza andranno le prime due di ogni girone. 

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La nazionale israeliana ha mandato in onda in televisione e sui social le immagini di giocatori che entrano in campo senza mascotte, alludendo ai bambini e alle bambine rapite da Hamas lo scorso 7 ottobre. Quella palestinese è scesa in campo con la kefiah al collo, uno dei simboli del loro patriottismo, un simbolo politico sul quale la FIFA al momento non è intervenuta. Di contro i giocatori della nazionale australiana hanno deciso di donare i premi destinati loro dalla federazione alle organizzazioni umanitarie che sono attualmente attive nella striscia di Gaza: «È davvero difficile da comprendere – ha spiegato il centrocampista dei Socceroos, Jackson Irvine, presidente del sindacato calciatori australiano, Pfa –. Qui si tratta di una delle questioni geopolitiche più complicate degli ultimi cento anni. I nostri pensieri sono rivolti a tutti coloro che sono stati colpiti dal conflitto e dalla crisi umanitaria derivante». 

Bangladesh e Libano gli ostacoli alla qualificazione

La Nazionale palestinese, guidata dal tunisino Makram Daboub, ha una rosa di giocatori che militano per lo più in squadre locali, con una decina di elementi che giocano in Africa, piuttosto che in Europa o negli Stati Uniti. Non ha mai superato il primo turno della Coppa d’Asia, quando qualificata alla fase finale, e ha vinto solamente l’AFC Challenge Cup nel 2014, battendo in finale le Filippine per 1-0, grazie alla rete di Ashraf Nu’man, mezzala dello Shabab Al-Khalil SC. A marzo affronterà la doppia sfida con il Bangladesh, mentre il Libano se la dovrà vedere con l’Australia, una ghiotta occasione per mettere punti in cascina e sperare di passare il turno come seconda classificata, restando decisiva la sfida con il Libano del prossimo giugno. 

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